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Favola d’inverno. Come avvenne l’incontro tra Ignazio, Brina e Acqua di Rose

C’era una volta, in un felice boschetto accanto ad una città di nome Frola, un vecchio tronco di castagno di nome Pino. Pino, prima d’essere un tronco, era stato un castagno intero, alto e maestoso. Un castagno generoso stroncato in due dal fulmine di un temporale nel bel mezzo di una giornata estiva. – Non mi ricordo quasi niente di quei tempi lontani – diceva a chi gli faceva delle domande sulla sua vita – ma di certo non mi sarebbe potuta andare meglio di così! Vero Ignazio? – Vero! – rispondeva Ignazio e non c’era risposta che avrebbe fatto…

C’era una volta, in un felice boschetto accanto ad una città di nome Frola, un vecchio tronco di castagno di nome Pino.
Pino, prima d’essere un tronco, era stato un castagno intero, alto e maestoso. Un castagno generoso stroncato in due dal fulmine di un temporale nel bel mezzo di una giornata estiva.
– Non mi ricordo quasi niente di quei tempi lontani – diceva a chi gli faceva delle domande sulla sua vita – ma di certo non mi sarebbe potuta andare meglio di così! Vero Ignazio?
– Vero! – rispondeva Ignazio e non c’era risposta che avrebbe fatto più felice Pino. Chi era Ignazio? Ignazio era un simpatico scoiattolino, famoso in tutto il boschetto per i suoi dentini aguzzi. Ignazio aveva trovato rifugio nella cavità di Pino il giorno più brutto della sua vita: il temporale gli aveva portato via la casa. Pino aveva trovato un amico il giorno più brutto della sua vita: un fulmine l’aveva tagliato in due. Da quel giorno il boschetto di Frola aveva due amici in più: un tronco di castagno e uno scoiattolino.

shane-young-S7fRAd0oTPI-unsplashAd Ignazio piacevano le bacche. Le adorava proprio. Ogni giorno ne portava in casa quante più riusciva a trovarne. L’inverno era sempre troppo lungo. Troppo freddo. E la fame era troppo brutta. Figuratevi come rimase quel giorno, era venerdì 17 e in cielo infuriava una lotta furibonda fra degli immensi nuvoloni scuri, che di bacche non riuscì a trovarne nemmeno una. Niente. Zero. Sparite, in tutto il boschetto. E non solo le bacche.
Ignazio era uno scoiattolino previdente e, fortuna sua, di bacche ne aveva già fatta una bella scorta, tanto che il vecchio Pino ne era pieno. Non per questo l’accaduto lo lasciò indifferente, anche perché se la fame fosse stata tanta le scorte sarebbero scomparse più veloci di una nuvola spinta dal vento.
– Che sarà successo?
Ignazio ne parlò con Pino, quella sera, ma in due non seppero trovare una risposta. Lo scoiattolino non ne capiva nulla di queste cose ed anche Pino aveva sì i suoi anni sulle radici ma a suo dire un fatto tanto strano non s’era mai sentito e così non sapeva proprio come regolarsi, nemmeno lui.

Passarono alcuni giorni – il gelo si era fatto sempre più pungente: si stava arrivando al fatico passaggio dall’anno vecchio all’anno nuovo -, quando due formichine, stanche sfinite e tutte infreddolite, arrivarono barcollando alla casa di Ignazio:
– Chi è là – rintronò la voce di Pino.
– Siamo due formichine – risposero quelle.
– Come vi chiamate?
– Brina e Acqua di Rose, per servirla.
– Cosa cercate?
– Cerchiamo del cibo ed un rifugio per la notte – disse Brina.
– Allora dovrete aspettare – rispose Pino – poiché questo vecchio tronco è già abitato da Ignazio lo scoiattolo ed è fuori casa ma non tarderà a tornare. Intanto, però, entrate o morirete di freddo.
– Grazie! Faremo così! – disse Acqua di Rose e così fecero; ed Ignazio, come il vecchio castagno aveva loro detto, arrivò che alle due formiche si erano appena cominciate a riscaldare le zampine.
md_jerry-v9wN8wCPLHY-unsplashBrina e Acqua di Rose venivano da molto lontano ed erano in viaggio da alcuni giorni alla ricerca dei loro compagni scomparsi e delle loro provviste rubate.
– I vostri compagni sono scomparsi? – domandò Ignazio, incuriosito.
– Purtroppo sì! – rispose Brina con un lamento.
– Le vostre provviste sono state rubate? – chiese Pino, preoccupato.
– Ahimè ancora sì! – rispose tristemente Acqua di Rose e proseguì:
– La nostra tana è stata distrutta e noi due, poverette, non siamo più con i nostri amici solo perché…
Qui la formichina arrossì.
– Solo perché? – incalzò Ignazio.
– Solo perché ci siamo allontanate dal gruppo per inseguire le belle ali di una farfalla sconosciuta, ma per un solo momento.
Ignazio diede loro da mangiare. Erano molto affamate.
– Ditemi… è successo venerdì 17?
– Sì! – risposero le formichine in coro.
– Già: venerdì 17. È da quel giorno che nel bosco non c’è più nulla da mangiare. Forse le due cose possono non essere una semplice coincidenza.
Il vecchio Pino assentì.
– Hai ragione, Ignazio. E di sicuro ci deve essere lo zampino di qualche brutta strega o di chissà cos’altro.
A questo punto le formichine si misero a piangere.
– Perché piangete? – chiese Ignazio.
– Perché abbiamo paura delle streghe – rispose Brina tutta tremante.
– Ma di questo non vi dovete preoccupare – le consolò Ignazio e aggiunse:
– Potrete rimanere qui, con noi ed al sicuro, finché vorrete; le provviste sono poche per tre, è vero, ma non vi date pensiero: quando saranno finite ci arrangeremo.
Ignazio aveva davvero un grande cuore.
– No!
La risposta di Acqua di Rose fu immediata, stava ancora asciugandosi le antennine umide:
– Non abbandoneremo i nostri amici! Domani mattina, di buon’ora, riprenderemo il cammino per cercarli e non ci fermeremo finché non li avremo ritrovati.
– Quand’è così verrò anch’io – dichiarò Ignazio -. Voglio chiarire tutto quello che non mi torna. Ed ora andiamo a dormire: domani mattina dovremo essere bene in forze per partire!

Quella notte l’unico a non dormire fu Pino. Da buon vecchio amico qual era e generoso com’era sempre stato passò tutta la notte a raccogliere le provviste e a dividerle in parti uguali. Finché, di buon’ora, svegliò i nostri cari amici, diede a loro tutte le scorte che avrebbero potuto portare al seguito, li bacio in fronte ad uno ad uno e disse:
cristofer-jeschke-CtHYiQFNfsk-unsplash– Prima che andiate voglio rivelarvi un segreto. Sulla sommità di Monte Cisposo, dietro ad un picco invisibile nascosto tra le fronde di un immenso albero gigante, abita una favolosa aquila magica di nome Ania che un incantesimo lì tiene legata facendola vivere e volare solo di notte, mentre di giorno, dal primo all’ultimo bagliore del sole all’orizzonte, la costringe a dormire, sepolta, rendendola invisibile a chiunque. Le magie che Ania può fare sono molte, ma non può né procurarsi del cibo che non venga dai suoi artigli, né modificare in alcun modo con altre magie incantesimi già fatti, né liberarsi dall’incantesimo che la tiene prigioniera se non chiamata a gran voce dal cuore di un animale coraggioso che abbia sfidato la morte. Ania sa tutto sul bosco: badate, però, non potrà rispondere a più di tre domande. Naturalmente non sarà così facile e potrete avvicinarla solo di notte ma, affinché non vi catturi, dovrete pronunciare davanti al suo occhio aguzzo, e solo in quel momento, la frase magica che ora vi dirò. Fate attenzione: Alinadha Acigamhi Etrahe. Queste parole la immobilizzeranno ma avrete solo il tempo del luccicare di sette stelle, da quel momento, per farle tre domande, attendere le tre risposte e fuggire via prima che, riavutasi dalla frase che vi ho or ora svelato, veda i vostri corpi nel buio e come un lampo li riduca a pasto per la sua cena. Ed ora su, andate! Non dimenticate quello che vi ho detto!
– Grazie, Pino! – disse Ignazio col cuore in gola. Brina e Acqua di Rose avevano le lacrime agli occhi ma fecero di tutto per non farsi vedere.

Era da poco sorto il sole di un nuovo giorno quando Ignazio lo scoiattolino e le formichine Brina e Acqua di rose si incamminarono verso quel picco lontano, sulla vetta di Monte Cisposo, non senza aver dato un ultimo e malinconico arrivederci a Pino, il tronco di castagno, e insieme al più bel boschetto che mai avessero avuto la gioia di vedere. L’inverno era sempre più freddo.

Continua…

Gianni Micheli

[Photo by veeterzy on Unsplash – Photo by Shane Young on Unsplash – Photo by MD_JERRY on Unsplash – Photo by Cristofer Jeschke on Unsplash]

Leggi: Favola d’inverno. Parte seconda: nuovi amici
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Leggi: Favola d’inverno. Parte quarta: una strega o chissà cos’altro?

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