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Con Francesco La Vecchia approfondiamo il tema della musica sacra…

Con Francesco La Vecchia approfondiamo il tema della musica sacra…

Oggi i nostri riflettori sono puntati su Francesco La Vecchia, Maestro della Cappella Musicale Agatina del Duomo di Catania. Nato il 24 giugno 1972 a Messina, entra nell’Ordine dei Predicatori, più conosciuti come Domenicani, e diventa sacerdote nel 1997.Dopo una lunga formazione vissuta tra Firenze e Roma, il suo servizio lo ha portato a girare

Oggi i nostri riflettori sono puntati su Francesco La Vecchia, Maestro della Cappella Musicale Agatina del Duomo di Catania. Nato il 24 giugno 1972 a Messina, entra nell’Ordine dei Predicatori, più conosciuti come Domenicani, e diventa sacerdote nel 1997.
Dopo una lunga formazione vissuta tra Firenze e Roma, il suo servizio lo ha portato a girare mezza Italia: lo studio della teologia e quello della musica sono i binari su cui farà scorrere il suo impegno. Calabria, Campania, Puglia saranno le tappe del suo ministero che gli ha permesso di vivere molteplici attività e servizi: dalla docenza universitaria all’attività musicale declinata in varie forme, dal governo pastorale delle comunità dove ha vissuto alla formazione dei giovani frati.
Da quattro anni è a Catania, dove oggi è priore della comunità domenicana etnea. Due anni fa, l’Arcivescovo di Catania lo ha chiamato a dirigere la Cappella Musicale del Duomo.
Siamo riusciti a intervistare padre La Vecchia con cui gentilmente abbiamo deciso di approfondire il rapporto tra musica e religione.

Maestro, parliamo del suo percorso vocazionale e artistico in senso stretto. Quali sono state le tappe che l’hanno portata a divenire Maestro della Cappella Musicale del Duomo di Catania?
Se dovessi rispondere di getto, direi che mi sono ritrovato catapultato in questa magnifica avventura catanese senza quasi accorgermene. La musica è stata sempre presente nella mia vita. Ho studiato pianoforte da bambino per poi, in età più adulta, approfondire la passione per la musica corale. Durante la mia formazione teologica a Roma, ho avuto anche la possibilità presso l’Istituto Pontificio di Musica Sacra di studiare direzione corale. Nelle varie tappe del mio percorso dovunque sono andato, ho sempre provato a “dialogare” con il linguaggio della musica con chi incontravo, specialmente se giovani. Reputo che la musica nella sua totalità permetta l’incontro umano, ponendosi come strumento tanto intellettuale per la riflessione umana sui valori della vita, quanto sentimentale quale modo di riumanizzare continuamente quell’umanità che sempre più spesso si chiude in logiche di egoismo materialista.
Giunto a Catania, pochi sapevano della mia storia musicale. A motivo del servizio svolto nell’ultimo decennio a Napoli, la musica nella mia vita si era ormai taciuta: ero convinto che si fosse conclusa un’importante fase della mia vita. E invece… mi sono ritrovato riabbracciato dalla musica attraverso le persone con le quali sto condividendo, prima ancora che l’esperienza musicale, una esperienza di umanità e di amicizia straodinaria. Dico sempre ai cantori che guido che la qualità del nostro cantare deve essere frutto e conseguenza della nostra umanità. La musica che eseguiamo sarà buona se sarà buona la nostra umanità.

Da quanti elementi è formato il Coro che Lei dirige, che registri di voci contempla e quando è richiesto il suo intervento?
La Cappella Musicale del Duomo di Catania è il coro della cattedrale: il suo servizio riguarda soprattutto l’animazione liturgica delle celebrazioni presiedute dal vescovo. Lo stesso repertorio attenziona sia brani presi dalla letteratura musicale classica che moderna. Le esigenze della liturgia, quale forma di teologia che celebra la fede cristiana nel Cristo morto e risorto, chiede l’impegno di una determinata ricerca di testi da musicare in base al momento che si vive. Una di queste esigenze è quella di musicare i salmi che vengono cantati durante la celebrazione eucaristica.
Attualmente il coro ha un organico stabile di trentadue cantori, divisi nei   quattro registri principali: soprani, contralti, tenori e bassi.
Gli impegni per l’animazione liturgica sono molteplici. Oltre le feste come il Natale e la Pasqua, si impongono gli impegni a ridosso della festa patronale di S. Agata che, nella sua complessità, è uno degli eventi più partecipati a livello internazionale.
A questi si aggiungono altri impegni che segnano i vari momenti della vita pastorale della diocesi. Il lavoro di preparazione è abbastanza arduo: si procede a doppio binario nello studio dei brani da eseguire nell’immediato e dei brani che vanno a costituire un repertorio più ampio.

Come ci si iscrive al Coro della Cappella Musicale del Duomo di Catania? Ha dei costi? Comporta un impegno importante in termini di ore di formazione e di momenti performativi?
L’adesione alla vita della Cappella Musicale è sostenuta dallo spirito generoso dei cantori che volontariamente aderiscono al coro. Attraverso vari canali, sia social che di passaparola, chi è amante del bel canto chiede di farne parte. Con una piccola audizione preliminare provo a verificare i presupposti dell’aspirante cantore. Non tutti i cantori sono musicisti, ma chi è munito di buon orecchio raggiunge meritevoli traguardi. La partecipazione è gratuita: è l’ente Cappella Musicale a fornire i cantori degli spartiti necessari, della divisa e di quanto possa essere necessario.
Per tutto questo occorre studiare: ci incontriamo due volte la settimana in tarda serata per studiare i brani, approfondire il perché delle scelte musicali, condividere i programmi da eseguire per il servizio liturgico quale momento formativo per il gruppo.
La nostra attività canora prevede anche quella concertistica anche se in una forma diversa dal solito. Abbiamo definito le nostre performance concertistiche come concerti mistagogici. La mistagogia è l’arte di condurre, quasi prendendo per mano, il pubblico presente e riflettere insieme sui contenuti e il messaggio dei vari brani selezionati ad hoc. Il concerto così appare come un unico discorso che viene intervallato dagli stessi cantori con lettura di spiegazioni e testi che approfondiscono il senso dei brani eseguiti dal coro. Per questo chiediamo di non applaudire durante l’esecuzione per mantenere e vivere un clima raccolto e concentrato.  Se saremo reputati meritevoli, solo alla fine si potrà applaudire!

La Chiesa Cattolica, negli anni, ha modificato molto il proprio protocollo liturgico. Questi cambi hanno impattato anche sulla musica e sulla scelta dei canti dell’assemblea. Può argomentarci tale passaggio nei suoi elementi più salienti?
La liturgia non è solo la celebrazione di un evento passato. La comunità che celebra vive l’attualità di ciò che è il cuore della fede cattolica: la morte e la resurrezione di Gesù, figlio di Dio. La liturgia non è una forma di spettacolo anche se alcuni suoi elementi con il loro fascino potrebbero essere considerati tali. La liturgia si sforza tramite linguaggi umani di tradurre il mistero creduto attraverso la percezione sensoriale, altrimenti chiamata estetica. L’uomo attraverso i suoi sensi si eleva al mistero infinito di Dio, il quale, conscio della sua incontenibilità perché infinto, ha mandato il suo Figlio unigenito a farsi uomo, cioè a rendere leggibile, comprensibile il messaggio del Padre per l’umanità. Per questo la liturgia ha bisogno di essere ascoltata con gli orecchi per udire la Parola di vita; ha bisogno di essere guardata con gli occhi perché i segni che si producono possano rimandare alle realtà infinite. Anche il tatto vive le sue espressioni: mani che si uniscono per pregare; mani che si elevano in alto per invocare il Padre; mani che stringono quelle altrui in segno di pace e perdono; mani tese per ricevere l’Eucarestia. Anche all’olfatto viene data la possibilità di percepire il profumo dell’incenso quale traduzione della preghiera che sale verso l’alto.
Tutto questo percorso, da sempre, è accompagnato anche dalla musica che tenta di elevare lo spirito inteso come intelligenza e corporeità umane, proiettate non in un infinito anonimo e generico, ma in un infinito abbraccio di Dio Padre sempre pronto ad ascoltare il grido dell’uomo. La musica prova a tradurre il senso dell’ascolto che l’antico e sempre nuovo invito di Dio in tutta la Sacra Scrittura dice: ascolta Israele! Per questo la musica sacra e, soprattutto, quella liturgica, in quanto linguaggio umano, ha cercato di declinare lungo la storia i segni per aiutare l’uomo che crede e che prega a celebrare quell’unica Pasqua che si rinnova ogni giorno.

La storia della musica sacra è lunghissima. Bach e Haëndel ne sono stati grandi interpreti anche se tutto inizia col Gregoriano per arrivare a Marco Frisina e al Gen Rosso e al Gen Verde. A Suo avviso, durante la liturgia della parola, in termini esperienziali che differenze vi sono tra godere della Messa di Hendel, farsi nutrire dai Canti Gregoriani, partecipare alle melodie di Frisina e cantare le canzoni del Gen Verde?
Sì, è vero: la storia della musica sacra è infinita. Ma non tutta la musica sacra può servire la liturgia. Dal canto gregoriano il cui tentativo è stato quello di vestire di musica il testo sacro, alla polifonia classica che armonizza la pluralità delle espressioni umane, la musica sacra e liturgica tentano di rendere leggibile e “cantabile” la fede in Gesù Cristo. I cambiamenti che si riscontrano lungo il nastro della storia della musica sacra non sono adattamenti a mode e gusti personali. Certamente l’estro dei vari compositori, ieri come oggi, si fa foriero delle influenze culturali, antropologiche del proprio tempo. Ma è qui la sfida: la musica liturgica, nonostante la sua totale autonomia espressiva, prova a fare suoi i criteri teologici che aiutano ancora una volta a vestire di musica la fede, cantando i testi sacri che compongono tanto le parti liturgiche delle celebrazioni, quanto altre forme per esprimere il senso sacro e spirituale in modo sempre attuale.
I testi sacri non sono solo gli ispiratori della musica liturgica. Lo sono anche di tante pagine della letteratura musicale classica. Per esempio: il grande J. S. Bach – la cui musica è definita a detta di tutti, la musica di Dio – scriverà la celeberrima Messa in si minore. Questa magistrale composizione ha una natura di per sé concertistica e non liturgica. Il Maestro Bach è un cristiano della Chiesa riformata, non è un cattolico, eppure si ispira alla celebrazione cattolica nella quale riconosce una valenza alta e significativa. Tuttavia, la sua composizione non è eseguile all’interno della celebrazione: si rischierebbe che il mezzo diventi fine, ossia lo strumento e il canto andrebbero a sostiturirsi con il fine della celebrazione stessa. Da qui la distinzione tra musica sacra e liturgica: la prima esprime e traduce sentimenti religiosi; la seconda si fa linguaggio non solo estetico ma soprattutto teologico per rendere attuale il culto stesso.
Questo rischio può essere corso anche dagli autori moderni. Si sa bene che il genere citato dei Gen non ha una finalità liturgica, bensì catechetica, formativa, permettendo e offrendo così riflessioni in ambito diverso dalla liturgia.
Certamente tutta la musica sacra ci permettere di avere un respiro tale da elevare l’uomo a determinate altezze che gli permettono di vivere un percorso estetico di purificazione, di riappacificamento con sé stesso, di integrazione con il creato che lo circonda. La musica liturgica presuppone anche questi elementi, ma la sua finalità è quella di aiutare a celebrare il segno della fede cattolica che è l’Eucarestia.

Per evidenziare l’idea che cantare sia una preghiera più intensa o efficace, si attribuisce erroneamente il detto popolare “chi canta prega due volte” a Sant’Agostino, che invece ebbe modo di affermare che “il cantare è proprio di chi ama”. Lei cosa pensa di entrambe le accezioni inerenti al cantare?
Questo è uno degli adagi popolari più inflazionato. Qualcuno, nel parafrasare questa espressione si è addirittura spinto a dire”… chi stona canta tre volte!” Beh… chi  stona è meglio che non canti:  anche il silenzio e le sue pause sono parte essenziale della musica!
“Il cantare è proprio di chi ama”. Anche il termine amore è spesso travisato e deformato nel suo significato più intimo. L’amore è uno dei sinonimi del termine vita. L’amore è capacità di uscire da se stessi per andare incontro agli altri. Amare significa prendersi cura di chi incontriamo. Le immagini evangeliche del buon Samaritano e del generoso Cireneo ci aiutano a rimettere a fuoco l’indentità e la finalità di ciascuno di noi. La musica che si fa canto religioso, spirituale, sacro, liturgico concorre all’arricchimento del cuore e della mente dell’uomo. Un cuore che non canta diventa sterile. Un orecchio che non ascolta è segno di una sclerosi di mente e di cuore. Per cui… dobbiamo cantare in tutti i modi possibili. Abbiamo bisogno della musica!

Parlando di musica che ci connette col Divino, vengono citate la musica sacra,  la musica liturgica, la musica spirituale e la musica religiosa? Che differenze, a Suo avviso, vi sono tra questi tipi?
Indirettamente avrei già risposto a questa domanda. Farò qualche ulteriore precisazione. La musica in sé come linguaggio umano offre da sempre all’uomo la possibilità di esprimere i propri sentimenti, le proprie aspettative. Con la musica l’uomo proietta sé stesso e si trasporta in una dimensione tale non tanto da alienarsi dal suo vissuto quotidiano spesso sofferto e problematico, quanto dal farsi esploratore di luoghi pensati e sognati dove ritrovare sé stesso e la pace che il suo cuore desidera da sempre.
La dimensione spirituale della musica credo sia il cerchio più grande che mette insieme tutte le espressioni che permetto all’uomo di elevarsi dalla sua materialità e tendere alla dimensione intellettuale, tanto con i sentimenti che con la ragione.
La musica religiosa, partendo dalla dimensione precedente, prova a tenere insieme l’uomo e la sua naturale tendenza all’infinito. Il suo tendere verso qualcuno di infinito è lo sforzo di usare la musica come linguaggio di mediazione tra l’uomo e la divinità a cui tende. Questo processo è comune a tutte le religioni e filosofie di vita.
La musica sacra annovera, attraverso un dialogo chiaro e preciso con i contenuti di fede (basterebbe pensare alla musica sacra ebraica, protocristiana, musulmana), una produzione musicale bel delineata e precisa nel tradurre in musica contenuti e messaggi puntuali che narrano con le note la storia di quella determinata fede.
La musica liturgica, presentandosi come il cerchio più intimo dei precedenti, ha una funzione e una missione ben precisa: cantare e fa cantare una comunità che celebra la propria fede. Non si tratta di mero ascolto passivo, ma di partecipazione attiva con la musica e il canto alla preghiera che un popolo eleva.

L’impostazione vocale lirica è idonea all’esecuzione delle melodie sacre che Lei dirige?
Decisamente no! La tecnica vocale del canto lirico serve un repertorio anche sacro e spirituale, ma non liturgico. Messe concertate, oratori e arie sacre nutrono il vastissimo repertorio dalla musica classica che non è destinata al servizio canoro liturgico. Ai cantori che animano viene chiesta una voce curata, arrotondata (ossia nono gridata) nella sua dizione e nella sua espressione. Una vocalità più naturale e acustica che faccia percepire in modo chiaro soprattutto il testo che si canta.

Maestro, il Suo è anche un lavoro di arrangiamento, immagino. Ce ne può parlare?
Lo dicevo qualche rigo prima. La liturgia, soprattutto quella che riguarda eventi particolari, a volte chiede di musicare dei testi. La scelta dei brani liturgici a volte può essere presa da un repertorio generico che offre la possibilità di determinati adattamenti. A volte, invece, necessita della composizione per una determinata occasione come un giubileo, un anniversario storico o un rito particolare, con la formulazione di testi e di conseguenza della relativa musica.

Quali saranno i prossimi impegni del Suo Coro?
Tanti e sempre affascinanti. Ma anche impegnativi. Oltre le feste del calendario liturgico, per questo nuovo anno si prospettano ulteriori impegni in vista del IX° Centenario del ritorno delle Reliquie di S. Agata da Costantinopoli a Catania. Sarà un anno intenso che ci chiederà non pochi sacrifici. Sono più che convinto che sarà un’occasione ulteriore perché i nostri cuori possano cantare la nostra fede aiutando tante altre persone a viverla grazie anche alla bellezza della musica che sempre eleverà le speranze dell’uomo con la carezza della sua armonia e l’abbraccio sinfonico del suo spirito.
Annunziato Gentiluomo

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