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Estranei (All of us strangers) di Andrew Haigh: la traccia di una arricchente conversazione

Estranei (All of us strangers) di Andrew Haigh: la traccia di una arricchente conversazione

Qualche settimana fa, abbiamo parlato – con i compagni di viaggio del Circolo Adrenalina di Catania – del film Estranei (All of us strangers) di Andrew Haigh (2023): come sempre succede in queste serate insieme, lo scambio libero e aperto, l’apporto di tutti, l’ascolto profondo e reciproco aprono nuove prospettive che continuano a lavorare dentro,

Qualche settimana fa, abbiamo parlato – con i compagni di viaggio del Circolo Adrenalina di Catania – del film Estranei (All of us strangers) di Andrew Haigh (2023): come sempre succede in queste serate insieme, lo scambio libero e aperto, l’apporto di tutti, l’ascolto profondo e reciproco aprono nuove prospettive che continuano a lavorare dentro, anche nei giorni successivi. Il Circolo Adrenalina è una realtà unica nel territorio catanese: non ha la pesantezza accademica di alcune associazioni culturali, incoraggia il contributo di tutti, realizza incontri che somigliano per certi versi ai simposi antichi, in cui l’intelligenza si esercita nel piacere di stare insieme e nell’amicizia.

E così adesso ci ritroviamo a parlarne ancora, seguendo l’ordine spontaneo con cui le questioni si presentano, nella sede di Vuoto Bianco, spazio creativo di dialogo e incontro, recentemente aperta da Damiano e Gabriele. È il luogo ideale – tranquillo, silenzioso, accogliente – per un confronto intimo su cosa il film Estranei ha smosso in noi.

Il film è tratto dal romanzo di Taichi Yamada (pubblicato in Italia dall’Editrice Nord) ed è un remake del film di Nobuhiko Obayashi uscito negli anni Ottanta. Il romanzo narra di uno sceneggiatore che si trova in un momento delicato della propria vita. Sta lavorando a un nuovo progetto che si scopre essere legato alla propria infanzia e in particolare alla figura dei genitori, che hanno lasciato prematuramente questo mondo a causa di un incidente stradale. Riflettendo su come sbloccare la stesura del nuovo script, il protagonista si trova quasi per caso a passeggiare per le strade della propria infanzia e a riconoscere lì proprio le figure dei genitori che pensava di aver perduto. In contemporanea inizia una relazione con una inquilina (e poi inquilino nella riscrittura di Andrew Haigh) del proprio condominio. Sembra che tutto si stia mettendo per il verso giusto, se non fosse per il suo stato di salute che continua a peggiorare. Gli indizi sembrano legare la causa del malessere alle ombre dei genitori, fantasmi che ritornano quasi ingenuamente per recuperare il tempo perduto con il figlio. Finché, invece, non si scopre che pure la figura dell’amante è in realtà una creatura ultraterrena.

Nel film di Haigh c’è uno sceneggiatore in crisi, Adam, che incontra i genitori – morti quando aveva 12 anni – e che inizia una relazione – dopo un iniziale rifiuto – con Harry, un uomo più giovane che una sera si presenta alla sua porta con una bottiglia in mano. 

Un altro aspetto che mi ha colpito, ma questo penso sia una divergenza da leggere in chiave diacronica, è la reputazione legata al mestiere di screenwriter, che negli anni ‘80 era comunque un ruolo di prestigio, mentre Adam, nel 2023, lo sminuisce di fronte ai genitori che vedono solo l’abbagliante vita della capitale.

Poi ci sono anche tutta una serie di divergenze nella presentazione dei due film. Nel film di Obayashi, per esempio, la narrazione è accompagnata dalla voce fuori campo di Hideo, che diventa così protagonista della sua stessa sceneggiatura; e ancora, la colonna sonora abbonda di arie di Puccini perché Hideo ne è innamorato e le usa continuamente nelle sue opere, mentre nel remake compongono il soundtrack alcune famose canzoni del synth pop inglese degli anni Ottanta. O l’utilizzo dei colori: il film di Haigh si apre con questa inquadratura di Adam alla finestra che guarda il tramonto di Londra con colori sovrassaturi che ricordano un po’ l’estetica di fine anni ‘80, ma rimanda più a un Blade Runner che al film originale da cui è tratto questo remake, film che ha, anche nelle scene serali, ambienti molto illuminati.

Gianna: La differenza principale mi pare però riguardi la presenza dei fantasmi: lo spettatore, già dalle prime scene nota che qualcosa non quadra quando i genitori (Jamie Bell e Claire Foy)  che aprono la porta di casa ad Adam sono nell’aspetto più giovani di lui. Scoprirà poco dopo che sono morti. E allora sarà forse portato a pensare che la sua tragica solitudine abbia prodotto queste voci, queste figure della mente allo scopo di ristabilire un contatto e di recuperare un rapporto amoroso sospeso. A me pare invece che nel film di Haigh i genitori (e  poi, come vedremo, anche Harry) siano fantasmi, ovvero morti che comunicano con i vivi e che il contatto tra visibile e invisibile sia proprio un tema forte della pellicola. È una sorta di forbice temporale, curvatura, che consente un incontro altrimenti impossibile.

Gabriele: Secondo me, non sono né fantasmi reali, né fantasmi della mente. Da qualche anno a questa parte si è diffusa questa moda, soprattutto nei social media, di interpretare tutto in chiave psicanalitica o comunque psicologica, per cui ogni riferimento al passato è un riferimento a un trauma che deve essere ricucito perché smetta di avere ripercussioni nella vita presente. La letteratura occidentale, però, è storicamente una letteratura di allegoria, una letteratura fatta di storie che parlano di altre storie. In questo senso i fantasmi di Adam (che poi, visti gli elementi autobiografici presenti nel film, sono anche i fantasmi di Andrew Haigh) sono dei fantasmi reali nella storia che raccontano però qualcosa fuori dalla storia. Penso che questa chiave di lettura permetta anche un’interpretazione più profonda, perché permette, come la lettura psicanalitica, di utilizzare la metafora per parlare di sé, ma permette in aggiunta anche di parlare di ruoli, di archetipi, di esperienze universali. Una storia allegorica è una storia nella quale ci si può riconoscere, nella quale io, Gabriele, cresciuto in un paesino dell’entroterra siciliano nei primi anni 2000, posso riconoscere le stesse esperienze di Andrew Haigh, cresciuto in Irlanda negli anni ‘80, che poi sarà un’esperienza che altre persone, con altri vissuti potranno sentire proprie, come poi abbiamo avuto modo di constatare alla serata del Circolo Adrenalina.

Diverso è il caso del film di Obayashi. La cultura giapponese è intrisa di storie di fantasmi e mostri d’ogni sorta che tornano per vendicarsi sui vivi. In questo senso è molto più facile immaginare un’interpretazione letterale della figura dei genitori di Hideo e della sua amante. E, a tal proposito, è anche interessante notare la natura diversa che hanno Kei e Harry. Mentre Harry, infatti, è un fantasma costituito della stessa materia dei genitori di Adam, Kei in realtà non è un fantasma, ma uno zombie, un’entità che torna dal regno dei morti per vendicarsi per un torto subito o per succhiare la linfa vitale da chi ancora ne ha. Trovo che sia interessante perché denota due concezioni del rapporto con il passato diametralmente opposte. In un caso i fantasmi dei genitori sono quelli che ci difendono dalle mostruosità della contemporaneità, nell’altro invece non si può vivere nel presente se non si è usciti dal passato attraverso una metamorfosi nella forma adulta.

Damiano: Il film non scioglie questa ambiguità tra fantasmi e fantasmi della mente, ma tutto sommato non è importante rispetto al ruolo che ricoprono. I genitori e Harry sono gli “alberi della vita” (cfr. Avatar), a cui Adam si connette per riprendere il cammino da dove si era interrotto o per cominciarlo. Lo sviluppo individuale di Adam si è infatti interrotto malamente e, sicuramente, ha interrotto anche lui che non ha potuto contare sui genitori per trovare il porto sicuro in cui rifugiarsi quando ne ha avuto bisogno. Si è dovuto proteggere da solo, fare forza da solo, finendo quindi per staccare la spina da sé stesso pur di non farsi travolgere. Ha vinto l’istinto di sopravvivenza, a che prezzo però..? Dal canto suo, Harry compare alla porta di Adam per dargli l’opportunità di sperimentare un’altra forma di amore. In quel suo vivere in anestesia, Adam aveva infatti rifiutato di “buttarsi” nella conoscenza di un’altra persona perché avrebbe voluto dire mettere in discussione tutto l’impianto di certezze su cui si era sempre retta la sua sopravvivenza. Adam respinge inizialmente Harry anche per questo motivo e, forse, perché Harry ha chiesto aiuto per sfuggire ai vampiri alla sua porta. Adam è riuscito negli anni ad addomesticare rigidamente i suoi vampiri. Farsi un po’ carico di quelli di Harry è pericoloso perché lo costringerebbe ad avere a che fare con ciò che lui ha scelto di non affrontare: la “materia viva” di sé. 

Superata questa prima ritrosia, però, Adam permette inconsapevolmente ad Harry di ripulire l’ingorgo che aveva ostruito il flusso della sua “materia viva” attraverso un rapporto (vero o immaginato, non si sa) che si rivela curativo perché scolpito da gesti e attenzioni di cui Adam aveva bisogno per sormontare il muro emotivo che si era costruito intorno. Harry è accudente, presente, protettivo e questo consente ad Adam di sentirsi sicuro abbastanza per esplorare l’ignoto. Solo nel momento in cui scopriamo Harry morto, crolla  – ma neanche troppo – l’aria audace del personaggio e a questo punto è Harry ad essere accudito da Adam, maturato emotivamente al punto da sapersi assumere l’onere di far sentire a casa Harry nonostante il freddo della morte lo avesse ormai circondato. 

Gianna: Il recupero da adulti di una comunicazione con i genitori corrisponde sempre a un tentativo di “essere visto e riconosciuto”; se poi i genitori non ci sono più, si tratta anche dell’esperimento simbolico di colmare una sorta di frattura biografica, che, in questo caso, non è un generico “fare i conti con il passato”. Ha a che fare con la vergogna, con il senso di colpa, con la consapevolezza di rappresentare comunque una “delusione” di certe aspettative. Secondo voi, la scelta di un protagonista omosessuale cambia il senso del film? Sposta il suo baricentro? 

Damiano: Cambia decisamente il senso del film perché senza questa scelta non ci sarebbero stati i nodi emotivi che hanno interrotto lo sviluppo individuale di Adam. Un uomo eterosessuale non si sarebbe mai trovato a fare i conti con quello specifico senso di colpa né con la vergogna dettati dalla consapevolezza che una specifica diversità (essere omosessuali) rappresenti, a prescindere da tutto il resto, una delusione per i propri genitori. Adam cresce con la certezza che i suoi genitori non l’avrebbero accettato se fossero stati vivi e ne trova la conferma quando si confronta con loro (separatamente, peraltro). Neanche da adulto, tuttavia, riesce a reggere l’impatto di questa presa di coscienza perché, in fondo, sa di esporsi a un respingimento che conferma i suoi timori più reconditi. Fare coming out ti obbliga quasi sempre, sul piano della realtà, a essere espulso dal lettone dei genitori. Sul piano emotivo, invece, il debito resta. La necessità di sentirsi accettati, non tollerati, e di essere accompagnati verso l’ignoto, non abbandonati a cavarsela da soli, te la porti dietro soprattutto quando ti rendi conto che neanche i tuoi genitori ti sanno aiutare. Adam tenta di smorzare la tensione affermando che la percezione dell’omosessualità sia cambiata oggi rispetto agli anni Ottanta. Ma crede davvero a queste parole? Sembra di no nella scena in cui finge di non provare alcuna emozione di fronte alla chiusura della madre incredula perché il figlio non solo non ha una ragazza, ma non è attratto dalle ragazze e, quindi, si esporrà a una vita disgraziata (che Adam, in effetti, sa di stare vivendo proprio per via della sua diversità).     

Gabriele: Come diceva già Damiano, la sessualità del protagonista non è il tema centrale del film, che secondo me è invece quello di ricostruire un rapporto coi genitori e potersi mostrare adulto di fronte a loro, uscire dalla condizione di figlio, affermare la propria identità autonoma. Da un lato la sessualità è un aspetto fondativo nella costruzione della propria identità, ma dall’altro riconoscerti in un tratto deviante ti mette nella condizione di doverti anche in qualche modo difendere dai genitori, dal rischio di essere ripudiato. E questo può valere per qualunque tratto deviante. Il riconoscersi in una diversità ti mette nella condizione di dover camminare costantemente sulle uova, di dover essere abbastanza per compensare quell’altra mancanza e trasforma il processo di crescita in una camminata sulla fune che rende molto più difficile quel confronto che ci permette poi di uscire dal lettone per poter iniziare ad abitare il nostro. Fino a che punto possiamo definirci adulti se non possiamo avere un rapporto alla pari con i nostri genitori perché sentiamo di essere sempre in debito per qualcosa, specie se quel “qualcosa” è un pezzo di noi stessi?

Gianna: I due protagonisti hanno una percezione diversa della loro posizione all’interno della famiglia. Harry – che ha ancora la sua famiglia – si colloca al margine di essa, Adam accarezza invece una fantasia di vicinanza al nucleo (dormire nel letto tra i genitori, stare insieme tutti intorno all’albero di Natale, nel chiuso del calore della casa dell’infanzia, che tra l’altro è la casa del regista…).

Gabriele: Eve Sedgwick Kosofsky scriveva che l’invisibilità è il privilegio delle persone etero. A una persona che si distacca dalla norma è richiesto di nascondersi ma, allo stesso tempo, identificarla con un tratto significa renderla visibile e, di conseguenza, controllabile. Harry si è posto ai margini della famiglia perché ha fatto coming out e, facendolo, è uscito dal privilegio dell’invisibilità, non è più parte della folla. Adam questo passaggio, che in qualche modo è preliminare al distacco dal nucleo familiare di origine per formarne uno nuovo, non l’ha mai potuto vivere. Era troppo piccolo, troppo immaturo per poter affrontare la questione e quindi è rimasto in qualche modo incastrato nel lettone dei genitori, anche letteralmente: dormiva proprio sul loro letto la notte dell’incidente. Adam non era ancora in grado, in quel momento, di poter affrontare un distacco così forte che sarebbe potuto avvenire anche in modo molto violento, quindi si difese (e continua a farlo ripetendo lo schema) come può, nascondendo il suo segreto – come, penso, abbiamo fatto in molti.

Damiano: Adam si percepisce al centro della famiglia perché si guarda con gli occhi di figlio adolescente che non ha potuto vivere quelle fasi inevitabili di crescita e allontanamento dal lettone dei genitori che spostano la propria posizione dentro l’“atomo familiare”. Harry, invece, le ha vissute, ha percepito il distacco emotivo e, in più, è stato respinto sul piano della realtà. Il margine è diventato il suo posto per tutte quelle volte in cui in famiglia si parlava di futuro, fidanzamenti, figli e ha percepito che lui era una questione tabù, l’elefante in mezzo alla stanza, quello di cui tutti sapevano ma di cui non si doveva parlare. Purtroppo, il margine non l’ha saputo arredare con i mezzi a sua disposizione: questi non si sono rivelati sufficienti a reggere il progressivo isolamento che comporta l’essere messo al margine prima dagli altri e, poi anche da se stessi  perché è l’unico posto in cui si crede di poter stare. 

Gianna: la differenza tra i due è per certi versi generazionale, appartengono a momenti molto diversi rispetto alla percezione “sociale” dell’omosessualità, ma la loro differenza è anche di temperamento: Harry è diretto e autodistruttivo, Adam vive a metà, si protegge dalla vita.

Paul Mescal in ALL OF US STRANGERS. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2023 Searchlight Pictures All Rights Reserved.

Gabriele: Non so fino a che punto ci sia una differenza generazionale di approccio alla vita. Piuttosto, credo che la differenza sia frutto dell’indole individuale. La verità è che, per chi vive in una condizione di minoranza, lo spazio di una generazione ha dimensioni diverse rispetto al solito. Io posso dire, lavorando a scuola, che gli adolescenti di oggi sono effettivamente più aperti sulle tematiche dell’affettività e dell’autoaffermazione, ma ancora ci sono, accanto alle bolle felici dove posso parlare apertamente dei progetti che porto avanti con il mio ragazzo, altri contesti in cui, se lo faccio, sento di doverlo fare con valenza pedagogica, per fare attivismo. Quando ero adolescente io, invece, era impensabile potersi dichiarare senza temere, fondatamente, di avere ripercussioni anche pesanti. Eppure già vent’anni fa su altri temi, come la disabilità, si stava diffondendo una sensibilità più attenta. Esistono delle identità per cui lo stigma sociale è talmente trasversale che la distinzione generazionale perde di senso.

Per quanto riguarda il diverso approccio verso il mondo, sarei più incline a pensare che sia veramente una questione di carattere. Adam è rimasto l’eterno fanciullo che ha paura di tutto quello che sta fuori dalle mura di casa perché non ha nessuno a proteggerlo. Harry, invece, affronta la vita a muso duro perché deve in qualche modo comportarsi da uomo, compensare il suo non essere maschio abbastanza in quanto omosessuale. Harry deve, per dirla all’inglese, “tough up”. Il mostrarsi in un ruolo accudente, protettivo nei confronti di Adam significa anche trovarsi in una posizione in cui è possibile non mostrarsi vulnerabile a sua volta.

Oppure c’è anche l’altra interpretazione, quella del “fantasma della mente”. Se accettiamo che la storia si evolve interamente nella fantasia di Adam, Harry potrebbe anche essere una proiezione dei suoi desideri, l’incarnazione di un tipo ideale al quale vorrebbe tendere ma che non si sente in grado di raggiungere.

Damiano: Il cambiamento nella percezione dell’omosessualità da parte della società non ha aiutato in effetti Harry a crescere senza quell’oscurità che Adam incarna molto bene. I due hanno reagito in modo diverso grazie a una serie di fattori individuali, culturali, sociali che fanno la complessità di ogni essere umano. Harry probabilmente è cresciuto in un contesto storico-sociale in cui magari si parlava talvolta di omosessualità, ma in cui non era sparita l’abitudine di presentare l’argomento con un sottile velo di giudizio – che è quello che ti scava giorno per giorno e ti convince di meritare la tana mentale in cui abiti da adulto. Gli studiosi hanno parlato, a proposito, di minority stress, ovvero lo stress causato dal dover avere a che fare con un contesto, piccolo o grande, che non contempla le minoranze e, quindi, nega l’esistenza della diversità più in generale. Adam, dal canto suo, è cresciuto in negazione totale dell’omosessualità e continua per questo a reiterare l’imprinting ricevuto: tienitelo per te questo “motivo di vergogna”. Nel suo contesto di riferimento non se ne parlava da nessuna parte, la questione non esisteva e, quindi, lui si è probabilmente sentito l’unico al mondo a provare “quel qualcosa che non va”, così chiamato semplicemente perché non va nella direzione degli altri, non è previsto tra le cose accettabili, possibili, se ne può e deve ignorare l’esistenza per evitare di farsene carico. Chi ci si trova dentro se la risolve in solitaria trovando riferimenti, spiegazioni e origini che scandiscono poco per volta il processo di normalizzazione di sé (processo delicatissimo perché si tratta, pur sempre, di far saltare per aria e ricostruire le fondamenta di sé stessi) per scontrarsi comunque con la sequela di muri di chi non ha dovuto guardarsi dentro per capire cosa stesse accadendo, né ha potuto sviluppare una sensibilità a concepire la diversità e trattarla alla pari invece che disprezzarla.  

Gianna: Il più vecchio dei due è quello che nel corso del film regredisce progressivamente, mentre Harry si mostra da subito protettivo e più “forte”. Adam ha sospeso la sua crescita, sembra anche privo di esperienza sessuale e sentimentale.

Gabriele: se pensiamo che, anche a distanza di tanti anni, Adam ed Harry hanno dovuto affrontare delle esperienze abbastanza analoghe e che la scelta dei meccanismi di difesa da adottare per sopravvivere è la stessa, in fondo si potrebbe anche dire che sono coetanei. Ma al di là di questo, il film continua a sottolineare come Adam sia in realtà rimasto bloccato in questa identità di bambino. La regressione che attraversa Adam è solo apparente. In realtà si sta spogliando delle sue vesti di quarantenne per tornare alla sua vera dimensione. Ci sono dei tratti fanciulleschi in Adam anche all’inizio del suo rapporto con Harry. Quando gli dice che si è dimenticato come baciare perché è rimasto solo per molto tempo è lecito aspettarsi che stia indorando un po’ la pillola, che magari in realtà non ha mai avuto esperienze e non lo voglia ammettere perché è come si comporterebbe un ragazzino di 12 anni nella sua situazione. Ma la parabola di regressione al proprio io più vero è la stessa che attraversa Harry. All’inizio del film, quando lo vediamo ubriaco, un sospetto che qualcosa nella sua vita non stia andando per il verso giusto lo abbiamo, ma poi lo vediamo con questo carattere diretto ed estroverso, in qualche modo tutto proiettato verso l’altro, che ci illudiamo che sia lui l’adulto della situazione. Nel corso del film, però, possiamo vedere che anche lui lascia progressivamente cadere le sue difese e fa venir fuori gli aspetti più genuini della sua persona, il rammarico per non sentirsi pienamente parte della famiglia, lo spaesamento che si prova a vivere un margine e così via. Fino allo smascheramento definitivo:  quando deve fare i conti col suo vero io, Harry, che ha vissuto separato da sé per troppo tempo, semplicemente non sopravvive.

Riguardo all’aspetto legato all’esperienza sessuale, poi, ci sarebbe un mondo da dire. Un mondo di paure. La paura delle malattie, la paura di essere scoperti e additati, la paura di dare ragione ai bulli, la paura di dover accettare di non far parte del canone, la paura di vedersi diverso. La prima volta è sempre un rito di passaggio, ma mentre per le persone eterosessuali cisgender il limes attraversato ha generalmente valenze positive, anche quando l’esperienza non è stata delle più gradevoli, per una persona che vive fuori dal confine ristretto dell’eteronormatività la valenza simbolica può essere più negativa che altro.

Adam però alla fine del film si trasforma, i ruoli sembrano poi invertirsi una volta che apprende che Harry è morto. Finora aveva vissuto solo nella mente…

Damiano: Adam è anagraficamente adulto all’inizio del film, quindi siamo portati ad aspettarci una maturità congruente nei suoi comportamenti. Sorprendentemente, lo vediamo invece tornare gradualmente agli atteggiamenti della prima adolescenza. Questo ci fa capire che è in quel frangente che lui si è “interrotto”, quindi da lì deve riprendere per compiere i passi necessari ad adeguare il piano emotivo al piano reale. Nel film, Adam torna adolescente quando si trova in presenza dei genitori, ma anche di Harry che, infatti, nella scena del lettone rimpiazza il padre di Adam nel momento in cui la progressione del discorso rende la sostituzione giustificabile. Le due figure maschili di riferimento si vengono a sovrapporre segnando, in qualche modo, un passaggio, mostrandoci l’urgenza di comprendere che l’istinto, spesso,  ci invita a percorrere una via d’uscita dalla prigione mentale in cui ci troviamo prima che, razionalmente, riusciamo a rendercene conto. Harry sembra più forte perché, dopo essersi lasciato invadere dal dolore, ha reagito con un’estremizzazione del comportamento che gli ha fatto perdere di vista il senso del limite. Quando ho visto Harry per la prima volta sulla porta, qualcosa di viscerale mi ha attirato a lui. Il lato estetico, certo, ha fatto la sua parte, ma ritengo che sia stata la spudoratezza figlia della disperazione che ha vissuto e che vive ad aver acceso in me l’attrazione. Harry si mostra accudente, equilibrato, amorevole perché dentro di sé sa che quell’atteggiamento ripaga, ma poi scopriamo che è lui ad aver soprattutto bisogno di essere accudito perché ha perso la bussola e, per questo, agisce in modo autodistruttivo. Se consideriamo i due protagonisti come due poli magnetici, non poteva che andare come è andata: l’attrazione prima e la fusione uno dentro l’altro che vediamo in chiusura di film poi sono la conferma che l’apporto di entrambi al loro amore ha rovesciato lo status quo, ha riequilibrato gli squilibri di entrambi.

Gianna: Tornando al coming out tardivo di Adam, la reazione dei genitori è per certi versi quella che ci aspettiamo, ha un sapore tristemente familiare. Il padre confessa che da ragazzino avrebbe bullizzato il figlio esattamente come i suoi compagni (è uno strano ragionamento: che importa cosa avrebbe fatto da bambino se non lo è più quando il figlio ha bisogno di un suo abbraccio?), la madre all’inizio sembra quella più sorpresa e delusa, aveva pure immaginato fisicamente la fidanzata del figlio…

Gabriele: io penso che la reazione della madre fosse più di negazione che di sorpresa. Oltre ad aver immaginato qualcosa vedendo il figlio giocare da piccolo, non riesco neanche a immaginare che non avesse mai toccato l’argomento con il marito, tanto più che lui invece dichiara serenamente che lo aveva capito. La reazione del padre, anche se illogica, la trovo più sincera. Quando dice che probabilmente a quell’età lo avrebbe bullizzato anche lui sta ammettendo al figlio di essere un persona con i suoi difetti. Gli sta parlando da adulto e in qualche modo sta chiedendo scusa al figlio per non essere stato capace di proteggerlo, anche solo abbracciandolo quando ne aveva bisogno. È una scena molto intensa, perché segna il momento in cui Adam può iniziare a crescere, il momento in cui si è visto riconosciuto per l’adulto che è diventato e non deve più preoccuparsi di tutti i suoi “possibili adulti” che potrebbero deludere i genitori.

La scena della madre che chiede ad Adam di togliere la maglietta ha anch’essa un forte valore simbolico ed è rappresentata in maniera diametralmente opposta nelle due trasposizioni. Nel film di Andrew Haigh, la madre chiede ad Adam di togliersi la maglietta bagnata perché non si prendesse un accidenti e gli rimette addosso una felpa di suo padre. Nel farlo, però, non può fare a meno di notare il corpo cresciuto del figlio. Adam, d’altra parte è ritroso nello spogliarsi e a me vien da pensare, ragionando in termini simbolici, che sia proprio il suo corpo adulto che voglia nascondere, che non voglia rompere quell’illusione di essere ancora il figlio di 12 anni.

La dinamica nel film di Obayashi, invece, è del tutto diversa. In questo caso la madre chiede a Hideo di togliere la maglietta perché fa troppo caldo. Anche in questo caso il protagonista è ritroso, ma qui la madre gli prende la maglietta e gliela toglie di dosso con la forza, per quanto giocosamente, chiedendo peraltro al consorte di aiutarla. In questo caso quello che è evidente è che per i genitori tutti quegli anni non siano mai passati, che non ci sia alcun motivo di imbarazzo nel trattare il figlio da bambino, perché in fondo dal loro punto di vista il rapporto filiale non è mai stato interrotto dalla prematura scomparsa. Hideo, invece, chiama i genitori utilizzando il suffisso onorifico, con la distanza che si riserva agli estranei. Si potrebbe anche ragionare, volendo, sulla diversa concezione culturale espressa nei due film circa il diritto dei genitori di disporre del corpo dei propri figli.

Gianna: Non è necessario inquadrare un bel film in un filone, ma credo che possa avere senso individuare, quando c’è, una sorta di genealogia simbolica, di tradizione. Questo film appartiene al genere del New Queer Cinema?

Gabriele: Il New Queer Cinema è un filone cinematografico, individuato dalla critica Ruby Rich a cavallo degli anni ‘90, con caratteristiche precise che si sono andate perdendo nei successivi film a tematica queer. Secondo Rich, il genere New Queer Cinema nasce con Paris is burning, un documentario sulla scena underground delle sale da ballo in cui si riunivano le comunità nere e queer a New York. Le ballroom di New York erano, negli anni ‘80 e ‘90, nel pieno della crisi AIDS uno spazio in cui le persone marginalizzate potevano esistere lontano dalle logiche e dalle imposizioni della società. Quello che prova a fare il New Queer Cinema è di imporre questi spazi anche nella comunicazione di massa. È un cinema di rivendicazione e in quanto tale è un cinema spesso di rottura, anche formale. Registi come Gregg Araki e Gus Van Sant rompono le unità di tempo e spazio nei loro film per creare nuove unità di senso. Il montaggio non segue la scansione temporale della storia, ma insegue una coerenza tematica; anche nella riproposizione di periodi storici lontani sono presenti elementi anacronistici. Il montaggio, mischiando i piani temporali e cancellando il prima e il dopo, riesce in qualche modo a riportare in vita i personaggi morti come i registi nella comunità vorrebbero avere il potere di fare con i cari che hanno perso in quegli anni per la malattia, i pestaggi , il dolo politico.

Il film di Andrew Haigh gioca molto con la scansione temporale e spaziale nel film – per esempio, Gianna, alla serata del Circolo Adrenalina facevi notare che le inquadrature sono quasi sempre in cucina, sul divano, ma molto raramente nella camera da letto che è uno spazio di intimità. La camera da letto ci è inaccessibile come spettatori perché l’intimità è inaccessibile ai personaggi. Analogamente, la stessa possibilità per Adam di tornare a casa dei suoi genitori e rivivere dei momenti di confronto con loro è una rottura della consequenzialità temporale. A un certo punto diventa difficile distinguere che cosa è presente e che cosa è ricordo. La grande differenza con il New Queer Cinema, però, sta nelle ragioni per cui vengono mischiati i piani temporali e spaziali. Nel cinema degli anni ‘90 smontare lo spazio-tempo era strumentale a ritagliare, coattamente, uno spazio per le persone queer; nel film di Haigh, invece, serve a restituire alla vita due persone eterosessuali. Qui non c’è nessun risentimento, nessuna rivincita contro la società etero; la necessità che si sente, invece, è di rappacificazione, di includerla nello spazio-tempo queer e riunire in un unico continuum due piani di esistenza che sono rimasti separati troppo a lungo.

Gianna: Da spettatrice, quando sono uscita dalla sala cinematografica, ho fatto molta fatica ad uscire dal film. Per giorni. Ho visto intorno a me, mentre tornavamo nel mondo di fuori, nel nostro tempo, facce commosse, stupite. Immagino fossimo tutti avvolti nell’aura di questo film: ognuno ha avuto la propria infanzia, bella o brutta, ma per tutti l’infanzia è anche quel serbatoio di possibilità, di abbozzi, di inettitudini.

Estranei ti fa contattare i punti più sensibili in cui la vita si è inceppata. Ti fa anche guardare oltre la ferita, ma sicuramente – questa è la mia esperienza – non la consola. Allora mi chiedo e vi chiedo se l’amore di Harry ha avuto il potere trasformativo di riconciliare Adam con le parti irrisolte di sé, con il suo passato, con quello che era rimasto sospeso?

Gabriele: nella scena finale del film, quando la telecamera si solleva e Adam ed Harry diventano due stelle tra le infinite stelle del cielo, io leggo una citazione al finale di Shortbus. In quell’altro film, che pure cita in più modi l’esperienza del New Queer Cinema, e pure cerca di creare uno spazio condiviso in cui persone etero e persone queer possano esistere come parte di una sola comunità, la telecamera si solleva a volo d’uccello sulla città di New York, avvolta dal buio del blackout del 2003: tutte le case iniziano a reilluminarsi partendo proprio dallo Shortbus, il locale che dà il titolo al film, perché tutte in qualche modo si riconnettono alla grande scheda madre del piacere, così viene definita, e il piacere diventa la lingua universale attraverso cui tutte le esperienze umane riescono finalmente a comunicare tra loro.

Nel film di Haigh più che il piacere è la compassione a permettere questo livello più profondo di connessione. Quando Adam scopre il corpo di Harry nel suo appartamento, il fantasma di Harry è terrorizzato, ma soprattutto non vuole che Adam lo veda nella sua caducità umana. Adam lo abbraccia e lo protegge da quella visione. Gli restituisce una dimensione umana, lo salva da una concezione oggettificante per cui tutto l’interesse di una persona risiede unicamente nel suo corpo.

La compassione di Adam è anche verso se stesso. Nel momento in cui accoglie la morte di Harry e la difende da uno sguardo morboso, pornografico per la decomposizione della carne, sta anche accettando che quella potenziale storia (che si sarebbe potuta sviluppare se quella notte lo avesse lasciato entrare) ormai è legata al passato, ma è più importante conservarne la dignità nel ricordo che crogiolarsi nel rimpianto.

Paul Mescal in ALL OF US STRANGERS. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2023 Searchlight Pictures All Rights Reserved.

Gianna: La luce delle stelle arriva nel nostro spazio da un altro tempo. Forse questo film ci invita a trovare un modo amorevole per rapportarci al tempo: quando passa, quando si ferma, quando ritorna.

Un estratto di questo dialogo è uscito il 19 dicembre 2024 sulla rivista “Morel. Voci dall’isola”: per visionarlo si clicchi qui.

Gianna Cannì, Damiano Miraglia Raineri e Gabriele Terranova

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