Negli ultimi giorni sono stati consegnati i premi Nobel di quest’anno e nel leggere le mirabolanti scoperte degli ultimi vincitori per chimica, fisica, medicina, fa bene tornare con la mente a vecchie glorie del passato in questi campi. L’Italia ha consegnato al gala del Nobel molte fulgide genialità, fra cui Giulio Natta il chimico originario
Negli ultimi giorni sono stati consegnati i premi Nobel di quest’anno e nel leggere le mirabolanti scoperte degli ultimi vincitori per chimica, fisica, medicina, fa bene tornare con la mente a vecchie glorie del passato in questi campi.
L’Italia ha consegnato al gala del Nobel molte fulgide genialità, fra cui Giulio Natta il chimico originario di Imperia, che nel 1963 vinse l’ambito premio per aver inventato il PP-H, polipropilene isolattico, una materia plastica passata alla storia con il nome di Moplen.
La biografia di Natta è tipica dell’uomo toccato dalla genialità: diploma al liceo classico a soli sedici anni, laurea in ingegneria chimica già a 21, borse di studio e ricerche in Germania, quindi la carriera universitaria nei migliori politecnici italiani. Chiamato a dirigere l’Istituto di chimica industriale del Politecnico di Milano in sostituzione di Giorgio Renato Levi, costretto all’abbandono dell’insegnamento per le vergognose leggi razziali, Natta intuì le potenzialità delle macromolecole, dedicando i suoi studi alla struttura cristallina dei polimeri, che lo porteranno a creare l’11 marzo 1954 la molecola che gli cambierà la vita.
Ma signora / badi ben / che sia fatto / di Moplen”. Con questi versi Gino Bramieri celebrava durante il Carosello nazionale la nuova invenzione, trafficando con bacinelle, scolapasta, bottiglie, giocattoli, oggetti di vario tipo comodi, pratici, puliti e infrangibili, sancendo l’utilità della chimica nella vita di tutti i giorni in un’Italia in movimento con tanta voglia di uscire dal recente passato duro e stentoreo, verso un futuro che regalerà tanti “anni di plastica”.
L’Italia stava davvero cambiando i suoi paradigmi, cominciavano le trasmissioni televisive, le donne uscivano di casa per andare in ufficio, la fabbrica inglobava la maggior parte della forza lavoro nostrana, che aveva abbandonato la campagna per dare impulso al divenire tecnologico e industriale tanto agognato. Manager appassionati e curiosi decidevano di investire con visione coraggiosa, come Piero Giustiniani, patron della Montecatini (poi Montedison), che per primo sbloccò i finanziamenti per questa plastica che a breve avrebbe sostituito legno, vetro, bachelite e acciaio in diverse applicazioni.
Un’Italia visionaria e coraggiosa, intuitiva e intelligente che non esiste più. Chiuse le stanze dei geni, frustrate le velleità di scoprire, creare, ricercare, aperte le porte per l’esodo più stolto che una civiltà possa permettere, quella delle menti accese, vivaci, attive, migliorative. Ripensare alla stagione del boom economico, all’attività di Natta e al dinamismo delle imprese può essere il modo di tracciare una nuova rotta per strategie di sviluppo sensate, dinamiche, sovranazionali e sostenibili, in fondo basterebbe davvero poco per allontanarsi dal quel misero 1% di investimenti pubblici che oggi il nostro paese dedica alla ricerca.
Elena Miglietti
[Fonte Foto: inewyork.it, il-fantamondo.com]
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