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Il discutibile allestimento de “La traviata” all’Opera Carlo Felice Genova

Il discutibile allestimento de “La traviata” all’Opera Carlo Felice Genova

Ieri, la stagione lirica dell’Opera Carlo Felice Genova che, fino a dicembre si è contraddistinta per interessanti proposte, non è stata, a nostro avviso, all’altezza delle aspettative. Nonostante delle premesse che facevano ben sperare, la prima de La traviata non è stata capace di emozionare. Il dolore, affettivo e fisico, l’introspezione, la solitudine esistenziale, il

Ieri, la stagione lirica dell’Opera Carlo Felice Genova che, fino a dicembre si è contraddistinta per interessanti proposte, non è stata, a nostro avviso, all’altezza delle aspettative. Nonostante delle premesse che facevano ben sperare, la prima de La traviata non è stata capace di emozionare. Il dolore, affettivo e fisico, l’introspezione, la solitudine esistenziale, il voyerismo borghese e la critica proprio a quel bigottismo e a quella grettezza di classe sono stati soppianti da un too much che, invece di valorizzare, ha disperso e confuso. La responsabilità maggiore di questo “deragliamento” è imputabile in particolare alla regia di Giorgio Gallione che, costellata ossessivamente da simboli (coriandoli dorati che scendono ripetutamente dal soffitto; il ricorso a sacchi di mele, probabilmente a rappresentare ricchezza, seduzione, potere, fecondità o addirittura la vita o ancora l’affuscamento della mente, da intendere come ostacoli al percorso, come abbellimento ornamentale o come oggetti su cui riversare la rabbia dei solisti) e coreografie, ha messo quasi in secondo piano la vicenda in essere. Inoltre appesantiscono la drammaturgia il ricorso ripetitivo agli spintoni tra i protagonisti, le eccessive cadute di Violetta, il suo rifugiarsi all’alcool/vino, il ricorsivo ingresso di figuranti con l’ombrello, la grottesca rappresentazione del Carnevale e i movimenti ingiustificati (tra cui la salita nell’albero della protagonista per pochi secondi), e lascia increduli la mancanza di reale interazione tra i protagonisti, a volte irrispettosa del libretto che inviterebbe naturalmente a dei movimenti di prossimità o di allontanamento. Ha impressionato negativamente la resa scenica del duetto Parigi, o cara durante il quale pareva che i protagonisti cantassero ognuno per i fatti propri e per se stesso, come fossero gelidi manichini e non amanti ritrovati, ancora speranzosi di un avvenire bello insieme. Incomprensibile l’assoluta staticità della grande compagine del coro e in luogo del dinamismo di quello, un uso ridondante delle coreografie firmate DEOS, alcune discutibili, in particolare quella del I atto durante il brindisi e quelle del secondo su Noi siamo zingarelle ed È Piquillo un bel gagliardo: valido solo l’espressivo assolo nel preludio del terzo atto. Inoltre poteva meglio essere sviluppata la presenza delle tre donne che aleggiano fin dal preludio del primo atto, in cui probabilmente si stanno celebrando i funerali della protagonista (e quindi tutto quanto occorre successivamente potrebbe essere un lungo flashback), forse a indicare le tre vocalità che la critica addice a Violetta (soprano leggero o di coloratura del I atto; il soprano lirico del II e il soprano drammatico del III), oppure la versione triadica della dea (giovane, amante e anziana). Quindi tutto resta irrisolto nonostante le piacevoli scene rappresentanti un luogo stilizzato, dominato dal gelo e da tracce di sangue (abiti e fazzoletti insanguinati) a simboleggiare la vita ferita che comunque continua a pulsare, e i bei vestiti di Guido Fiorato, e le opportune luci curate da Luciano Novelli.

Apprezzabile la direzione musicale di Palumbo: ha un’idea chiara che segue con assoluta aderenza, toccando con maestosità in particolare il preludio al primo e al terzo atto, e il finale dell’opera. A volte è parso si facesse prendere la mano per cercare di creare quel dinamismo opportuno di cui era privo il movimento scenico e forse avremmo gradito maggiore ampiezza in alcuni momenti, in particolare nel II e nel III atto dove avrebbe potuto una base più ampia su cui il soprano avrebbe potuto creare sospensioni e climax maggiori.

Andando al cast, sicuramente tecnicamente eccellente la prova di  Francesco Meli che è una garanzia per il ruolo di Alfredo. La sua lama, il suo perfetto fraseggio e la radiosità della sua vocalità rendono omaggio all’impeto e all’impulsività del giovane Germont. Carolina López Moreno risolve, tutto sommato, bene la complessità del registro di Violetta: nonostante la sua lama raffinata, la robusta tecnica e il buon fraseggio, nel primo atto non risulta completamente convincente. Reputiamo che la parte di coloratura poco le si addica: ha dimostrato, invece, tutto il suo spessore artistico negli ultimi due atti, in particolare nel terzo dove ha sfoggiato delle mezze voci perfette, dei bei filati e un ottimo controllo della voce. Non in serata invece Roberto Frontali al cui Giorgio Germont è mancato il piglio che si addice al baritono verdiano: si è ripreso alla fine del III atto, ma nel II le sue due arie (Pura siccome un angelo e Di Provenza il mar, il suol,) e il suo intervento finale (Di sprezzo degno se stesso rende aria) sono scorse senza entusiasmare particolarmente.

Dei comprimari annoveriamo Carlotta Vichi (Flora Bervoix), Chiara Polese (Annina), Francesco Milanese (Dottor Grenvil), Roberto Covatta (Gastone) e Claudio Ottino (Barone Douphol), tutti nel complesso capace di ben rendere i propri personaggi. Gli altri – Andrea Porta (Marchese d’Obigny), Loris Purpura (Domestico di Flora), Giuliano Petouchoff (Giuseppe) e Filippo Balestra (Commissionario) – convincono poco.

Buona la prova del Coro, dotato di un certa compostezza e coesione, capace di sostenere i solisti che, nelle pagine di insieme, non sempre raggiungono un’armoniosa amalgama.

Quindi nonostante validi artisti, l’allestimento de La traviata a Genova lascia delusi poiché lacunosa di una valida impostazione scenica che non aiuta i solisti a emergere, lasciandoli in balia di se stessi, e perché non in grado di accarezzare emotivamente il cuore dei presenti.

Dopo la prima, le recita saranno martedì 14 gennaio alle ore 20.00 (II cast), mercoledì 15 alle ore 20.00 (I cast), giovedì 16 alle ore 20.00 (II cast), venerdì 17 alle ore 20.00 (I cast), sabato 18 alle ore 15.00 (II cast) e domenica 19 alle ore 15.00 (I cast).

Annunziato Gentiluomo

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