Fino al 28 gennaio 2018 presso il Museo d’arte Mendrisio si potrà ammirare la mostra d’arte “Il paradiso di Cuno Amiet“, un’ importante rassegna di opere da Gauguin a Hodler e da Kirchner a Matisse. Cuno Amiet (Soletta, 1868; Oschwand, 1961) è – nella scia di Ferdinand Hodler – tra le personalità più rappresentative dell’arte svizzera della prima metà del Novecento,
Fino al 28 gennaio 2018 presso il Museo d’arte Mendrisio si potrà ammirare la mostra d’arte “Il paradiso di Cuno Amiet“, un’ importante rassegna di opere da Gauguin a Hodler e da Kirchner a Matisse. Cuno Amiet (Soletta, 1868; Oschwand, 1961) è – nella scia di Ferdinand Hodler – tra le personalità più rappresentative dell’arte svizzera della prima metà del Novecento, probabilmente dopo Hodler la più conosciuta. Se Hodler impersona l’identità artistica svizzera dello scorso secolo in area germanofona, Amiet può essere indicato come la figura di riferimento in area francofona. Amiet e Hodler erano colleghi in stretto rapporto – per un certo periodo di tempo anche amici – e molto sensibili l’uno verso l’altro in termini artistici, con l’esempio trainante del più anziano tra i due, vale a dire il pittore svizzero-tedesco. Ricordiamo, ad esempio, che ai loro forti legami artistici, e vicendevoli prestiti, è stata dedicata un’intera, bella mostra al Kunstmuseum di Soletta nel 2011-12 (Ferdinand Hodler und Cuno Amiet. Eine Künstlerfreundschaft zwischen Jugendstil und Moderne). Se da una parte, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento Hodler è portatore con il suo simbolismo di una secolare tradizione tedesca, Amiet può essere annoverato quale maggiore esponente svizzero di una tradizione francese impressionista e postimpressionista. Per un verso o per l’altro, entrambi sono da considerare i padri della pittura moderna svizzera. Partito giovanissimo in compagnia di Giovanni Giacometti alla volta di Parigi e poi della Bretagna, dove vive l’esperienza Nabis a Pont-Aven sulle tracce di Gauguin, Amiet si farà conoscere per le sue straordinarie qualità di colorista. Per un ventennio, nel corso dei primi due decenni del Novecento, la sua opera rappresenta la punta di diamante dell’avanguardia artistica svizzera. Non solo Amiet si ritrova nel cuore delle nuove tendenze francesi, tra simbolisti e neoimpressionisti, ma pochi anni dopo anche tra i fondatori, con Kirchner, Heckel e alcuni altri del gruppo Die Brücke, all’origine dell’espressionismo tedesco. Nei primi due decenni il suo lavoro si contraddistingue per la continua sperimentazione, le innovative scelte compositive es oprattutto cromatiche. Amiet è anche noto per i suoi soggetti – i suoi paesaggi, le sue figure, le sue nature morte – sempre improntati a un forte senso di armonia e serenità. Influenzato dalla forte spiritualità gauguiniana e Nabis, in una sorta di sacra unione uomo e natura e in parallelo all’esperienza francese dei Fauves vissuta all’insegna della ben nota joie de vivre, Amiet sviluppa nel tempo, senza mai venirne meno, un proprio codice di valori positivi, incentrato sul sentimento di pienezza e di felicità che si gode in un’esistenza trascorsa in armonia con il mondo esterno, pienamente appagata dalla bellezza della natura, dalle sue innumerevoli manifestazioni di luci e colori. Per gran parte della sua vita Amiet dipinge nella campagna bernese, a Oschwand, in un ambiente di intatta bellezza agreste. Figure, paesaggi, gli stessi interni e le nature morte, riportano sempre alla mente – attraverso colori, luci e tagli compositivi – un’impressione di Arcadia, di paradiso terrestre, che viene scandito dai rapporti umani, dal lavoro nei campi, dall’amore verso il prossimo e la famiglia, dall’immergersi dell’uomo nella natura. È un sentimento di fondo basilare nell’opera di Amiet, coerente e riscontrabile lungo tutto il suo percorso. D’altronde uno dei capolavori dell’estrema maturità, quando già aveva perso la compagna di una vita, si intitola Paradiso terrestre (Paradies) e rappresenta una scena angelica in un’atmosfera bucolica connotata da un’intensissima luminosità dorata. La rassegna del Museo d’arte di Mendrisio, la prima in Ticino e in area italiana, composta da circa settanta dipinti e una sessantina di opere su carta, ricostruisce il lungo e ricchissimo percorso pittorico di Amiet. Capolavori provenienti dalla Fondazione Amiet di Oschwand e da svariati tra i maggiori istituti museali della Svizzera: primo fra tutti il Kunstmuseum di Soletta, il quale vanta nelle sue collezioni alcuni tra i più significativi dipinti del pittore, seguito dal Kirchner Museum di Davos, il Kunstmuseum di Berna, il Kunsthaus di Zurigo, il Musée d’art et d’histoire di Friborgo, la Collection Pictet di Ginevra, l’Aargauer Kunsthaus, il Kunstmuseum di Olten, tra gli altri. Tra le opere esposte ritroviamo la Ragazza bretone sotto gli alberi (1893), le tre versioni di Paradiso (quella, celebre, del 1894-1895, l’olio del 1900-1901 e l’ultima del 1958), Doppio ritratto (1903), Natura morta floreale (1904), Studio per “le ragazze gialle” (1905), ammirato da Kirchner, La ragazza gialla (1907), La raccolta delle mele (1907), Nudo femminile sdraiato con fiori (1912), Autoritratto davanti a un dipinto del giardino (1919), Liette (1932). Amiet era senza dubbio, con Hodler, una delle figure di riferimento in ambito confederato, non solo per i suoi contemporanei, ma pure per artisti di una o due generazioni più giovani. All’interno del percorso il ruolo centrale occupato da Amiet nella storia artistica svizzera sarà testimoniato da una decina di puntuali confronti con artisti del panorama contemporaneo europeo da Paul Gauguin a Henri Matisse, da Giovanni Giacometti e Ferdinand Hodler a Ernst Ludwig Kirchner, da Alexej von Jawslensky e Marianne Werefkin a August Macke, da Gabriele Münter a Ernst Morgenthaler, così da poter ricreare nelle sale il clima nel quale si è mossa l’intera carriera di Amiet. La qualità del suo colorismo, la sua inesauribile inventiva nella scelta e nella variazione dei soggetti, che lo avevano visto in prima fila nei radicali sviluppi dell’arte d’inizio Novecento, hanno attratto anche non pochi pittori ticinesi d’inizio secolo. Primo fra tutti Pietro Chiesa, ammiratore sia dei suoi temi, sia della sua linea stilistica, con il quale Amiet espose nel 1953 a Olten in una mostra di grande successo e che sarà ugualmente presente anche nella retrospettiva di Mendrisio. A livello ticinese la mostra può contare sulla collaborazione di tutti i principali musei: MASI, Lugano; Pinacoteca Casa Rusca, Locarno; Museo comunale di Ascona; Fondazione Braglia, Lugano, i quali hanno acconsentito a prestare importanti capolavori delle loro collezioni anche a completamento della sezione dedicata ai confronti tra la produzione di Amiet e quella coeva internazionale. La rassegna di Mendrisio, organizzata insieme alla Fondazione Amiet a Oschwand, si avvale della presenza nel Comitato Scientifico di Franz Müller, curatore del catalogo ragionato dell’opera di Cuno Amiet dagli esordi fino al 1960 per le edizioni ISEA/SIK, e di Aurora Scotti, tra i maggiori esperti di pittura italiana ed europea di fine secolo, entrambi anche autori di importanti contributi in catalogo. Questo sarà completato da un saggio di Simone Soldini, un testo sull’opera grafica a cura di Viola Radlach e dal consueto corpus di apparati a cura dei collaboratori scientifici del Museo d’arte Mendrisio.
Redazione Artinmovimento Magazine
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