Un allestimento complesso, distribuito su più livelli, ricco, ben assortito quello proposto Teatro Regio di Torino per La dama di picche, capolavoro di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Ambizione, passione, conflitti generazionali, brama, malattia, gioco d’azzardo e follia si intrecciano in un’opera monumentale considerata la creazione meglio riuscita del compositore, opera che il Regio affronta con determinazione e
Un allestimento complesso, distribuito su più livelli, ricco, ben assortito quello proposto Teatro Regio di Torino per La dama di picche, capolavoro di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Ambizione, passione, conflitti generazionali, brama, malattia, gioco d’azzardo e follia si intrecciano in un’opera monumentale considerata la creazione meglio riuscita del compositore, opera che il Regio affronta con determinazione e con grande precisione.

La regia della produzione, realizzata lo scorso anno dalla Deutsche Oper di Berlino, porta la firma di Sam Brown che ha ripreso l’idea originale concepita da Graham Vick, prematuramente scomparso. Curati i movimenti delle masse, sempre molto attenzionati i momenti duali e quelli in piccolo gruppo, e interessanti le citazioni che compongono praticamente ogni quadro e che coadiuvano lo spettatore nell’immergersi nell’opera e nel comprenderne l’assetto esistenziale. Brown può contare sulle sontuose e sempre funzionali scene di Stuart Nunn che firma anche i costumi, e sulle perfette luci di Linus Fellbom che accentuano il noir di sottofondo della pièce. Colorate le coreografie di Angelo Smimmo e ben armonizzate nel contesto dell’allestimento: non riusciamo però a comprendere la sessualizzazione dei corpi che avrebbero potuto essere valorizzati in termini di sensualità. Quindi forzata questa deriva queer che depaupera e confonde, senza emozionare.

Eccellente la direzione del maestro Valentin Uryupin, che tratteggia ogni quadro con accuratezza, trovando una chiave di armonizzazione dell’immensa partitura. Guida superbamente l’Orchestra del Regio di Torino che risponde dimostrando le spessore tanto delle prime parti quanto di tutta la compagine. Giungeva al pubblico una perfetta orchestrazione, con volumi ben misurati e calibrati. Ha curato il rapporto tra la buca e i solisti senza mai lasciare nulla al caso, e il suo incedere a valorizzato sia il Coro sia il Coro di voci bianche del Regio, istruiti rispettivamente da Ulisse Trabacchin e Claudio Fenoglio. Gli ensemble corali hanno dato prova di grande valore, adattabilità e presenza scenica.
I tre protagonisti sono stati pressoché superbi.
Mikhail Pirogov veste, con controllo e maniacale perfezione esecutiva, i panni di Hermann. Il suo timbro e il suo squillo sono argentei, la sua musicalità è prorompente e i suoi slanci sono veramente imponenti: il mix di tale elementi gli consentono di risolvere le inquietudini esistenziali del personaggio in modo egregio.
Non da meno Zarina Abaeva che, grazie alla sua versatilità e al timbro dolce, riesce a rendere, con assoluta raffinatezza, tutte le sfumature del complesso personaggio di Lisa, contesa tra i due amanti e costretta al suicidio per disperazione, davanti all’ineluttabile fine dell’amato. Il suo fraseggio è chiaro, la sua linea melodica rasenta la perfezione e la sua tecnica è impressionante. Non convince il duetto con Deniz Uzun che interpreta Polina in quanto manca di amalgama e le vocalità non si armonizzano bene. La Uzun invece si esprime, a livelli sopraffini, nella sua canzone Carissime mie amiche dove risulta incisiva e avvolgente.
L’anziana Contessa, la dama di Picche, colei che conosce il segreto delle tre carte, di cui tanto è ossessionato Hermann, è resa con fare graffiante da Jennifer Larmore che agilmente si muove sulla partitura, tratteggiando in modo personale e, a nostro avviso, decisamente pertinente, i chiaro-scuri della complessità del personaggio.
Il Conte Tomskij viene magistralmente da Elchin Azizov. Baritono dalla luminosa lama, dalla tecnica ineccepibile, dalla capacità di timbrare ogni verso, caricandolo di equilibrio e presenza.
Pregevole l’interpretazione di Vladimir Stoyanov che veste i pani del Principe Eleckij con eleganza e compostezza. Dotato di una bella lama e di una valida tecnica, risolve brillantemente il suo personaggio, restituendo ai presenti una meravigliosa Aspettate! Un solo istante! che sintetizza la sua grande prova.

Tra gli altri spicca la notevole interpretazione di Vladimir Sazdovski nei panni di Surin per la cavernosità della sua voce, anche se gli altri – Alexey Dolgov (Čekalinskij), Ksenia Chubunova (La governante), Joseph Dahdah (Čaplickij e Il maestro di cerimonie), Viktor Shevchenko (Narumov) e Irina Bogdanova (Maša) – si dimostrano tutti assolutamente all’altezza del proprio ruolo.

Lunghi minuti di applausi da parte dell’attento pubblico torinese che ha apprezzato la riuscita dell’opera, decretando la vittoria sulla scommessa non facile su cui il Regio aveva investito.
Annunziato Gentiluomo
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