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“La traviata” ad Asti: un bell’allestimento e una grande Desirèe Rancatore

“La traviata” ad Asti: un bell’allestimento e una grande Desirèe Rancatore

Ieri, sabato 25 gennaio 2025, alle ore 21.00, è andata in scena al Teatro Alfieri di Asti, un bello ed emozionante allestimento de La traviata di Giuseppe Verdi, prodotto da Lirica Tamagno. Con le risorse a disposizione, è stato fatto un vero miracolo, su cui il soprano Desirèe Rancatore, nei panni di Violetta Valery, ha posto la sua solenne firma.

Ieri, sabato 25 gennaio 2025, alle ore 21.00, è andata in scena al Teatro Alfieri di Asti, un bello ed emozionante allestimento de La traviata di Giuseppe Verdi, prodotto da Lirica Tamagno.

Con le risorse a disposizione, è stato fatto un vero miracolo, su cui il soprano Desirèe Rancatore, nei panni di Violetta Valery, ha posto la sua solenne firma. Al di là del suo cagionevole stato di salute, non si è risparmiata rendendo questo complesso personaggio verdiano da grande diva, quale è, ricorrendo a una solida tecnica e a una verve scenica potente ed emotivamente pregnante. È stata brillante nel I atto, confrontandosi con la vocalità di soprano di coloratura con leggerezza, guizzo e vivacità, e rendendo con maestria e un tocco di ironia la Violetta cortigiana e civetta, facendo intravedere i suoi primi dissidi interiori. Accarezza e scuote al contempo i presenti il suo Sempre libera. La sua grande personalità scenica è emersa nel II atto, dimostrando un’aderenza totale alla vocalità di soprano lirico, espressa nel lungo confronto con Giorgio Germont, nel celeberrimo Amami, Alfredo e nell’intenso AlfredoAlfredodi questo core. E la Rancatore esprime tutto il proprio spessore emozionale nel III atto, incarnando a pieno la Violetta ormai moribonda e la vocalità da soprano drammatico: raggiunge degli intesi climax di pathos, in particolare nell’Addio del passato e in Prendi, quest’è l’immagine. Il soprano siciliano quindi interpreta tutte le sfumature del personaggio verdiano, accompagnandone il processo di trasformazione, evoluzione e trasfigurazione che ben chiarisce con Di chi nel ciel tra gli angeli prega per lei, per te. Eccellente sempre il suo fraseggio.

Accanto al soprano, spicca la notevole interpretazione di Antonino Giacobbe che, nonostante la giovine età e di conseguenza un non piena aderenza vocale al ruolo verdiano, veste con intenzione chiara, grande compostezza, piglio e verve scenica totalmente convincenti i panni di Giorgio Germont. La sua lama corposa, con venature profonde, la sua estensione e la sua valida tecnica gli permettono di risolvere il ruolo e la psicologia del personaggio con eleganza, affiancando con grande professionalità, nel secondo atto, una diva d’esperienza. Il baritono ha corso un rischio che gli vale il nostro plauso e l’assoluto riconoscimento del suo valore artistico, ben espresso in particolare in Di Provenza il mare, il suol e nell’autorevolezza de Di sprezzo degno se stesso rende. Ottimo il suo fraseggio.

Il miracolo di cui sopra ha potuto realizzarsi anche attraverso l’operato di Davide Garattini Raimondi che ha curato la regia, valorizzando al meglio le funzionali scene di Danilo Coppola; investendo con sagacia anche sui comprimari, affidando loro delle parti specifiche, come per il caso visconte Gastone de Letorières che diventa anche il Toreador; rispettando fedelmente il libretto; e giocando sui due colori delle camelie, ovvero il rosso e il bianco, a rappresentare rispettivamente la passione e il sangue e la purezza e il lutto, e così facendo rimanda alla pièce teatrale di Alexandre Dumas (figlio) La signora delle camelie, da cui la storia de La traviata è tratta. Garattini Raimondi ha ben gestito gli spazi: il palcoscenico dell’Alfieri di Asti non è propriamente grande e la compagine dell’opera non era certo misera numericamente. Segnaliamo, inoltre, l’uso iniziale del lenzuolo del III atto a presagire la morte della protagonista, la scena del Carnevale in cui rientrano i vecchi amici di Violetta ebbri e festosi quasi a scandire la distanza dal suo passato sia temporale sia di consapevolezza, o forse a simulare la derisione di quella borghesia gretta incapace di empatizzare e comprendere il dolore altrui o forse ancora a rappresentare un’allucinazione della protagonista, la cui vita è ormai agli sgoccioli. Interessante anche l’apparizione sul fondo della scena della sorella di Alfredo, citata da Giorgio Germont in Pura siccome un angelo, e ben strutturato il quintetto finale del terzo atto, con dei movimenti di posizioni perfettamente orchestrati.

Nel complesso gradevole il disegno luci di Paolo Vitale e più che dignitosi i costumi, anch’essi firmati da Danilo Coppola.

Tra i deterrenti dello spettacolo, e che conseguentemente non hanno partecipano al miracolo astigiano, dobbiamo segnalare la direzione d’orchestra assolutamente monotona, incomprensibilmente priva di energia e slancio, e soprattutto poco rispettosa dei cantanti di Fabrizio Bastianini: assistiamo addirittura a un momento di insieme in cui i cantanti non erano in sync con i maestri dell’Orchestra Fantasia in Re. Anche la prova del Coro San Gregorio Magno, istruito da Mauro Trombetta, non è stata di grande contributo, lacunosa in termini di compattezza: soprattutto i soprani spesso sfiatavano e non brillavano in precisione. Non abbiamo apprezzato le coreografie di Barbara Palumbo e l’esecuzione delle stesse da parte del corpo di ballo Arteka Milano: la resa di Noi siamo zingarelle e di È Piquillo un bel gagliardo è risultata alquanto discutibile. Infine il trucco di Giorgio Germont e del Barone Duphol ha lasciato a desiderare: capiamo l’invecchiamento, ma c’è modo e modo di realizzarlo.

Una performance irregolare quella di Vincenzo Spinelli nei panni di Alfredo Germont. All’inizio appare molto ingessato scenicamente, riesce poi a sciogliersi e a entrare meglio nel personaggio, trovando un proprio spazio e creando interazioni più efficaci, in particolare nel terzo atto. A volte ha spinto con la voce, registrando imprecisioni anche nel registro centrale: forse un ruolo un po’ prematuro per il tenore pugliese anche se ha risolto bene De‘ miei bollenti spiriti. Il suo è un buono strumento: infatti, possiede una lama luminosa che mista alla sua musicalità e alla sua capacità di veicolare partecipazione e trasporto emotivi sicuramente gli consentiranno traguardi interessanti.

Segnaliamo positivamente, inoltre, la voce pastosa e ben proiettata di Giovanni Augelli che ben interpreta il ruolo del dottor Grenvil; la vocalità intensa e ben impostata di Jacopo Burla (Barone Douphol); la prova di Alessandro Fiocchetti che rende con grande personalità e vivacità il ruolo del Visconte Gastone de Letorières; e il plastico, musicale e vocalmente corretto Francesco Cascione (Marchese d’Obigny). Maryna Kulikova (Annina) pecca nel fraseggio mentre Romina Cicoli, nonostante vesta con dinamismo scenico i panni di Flora Bervoix, presenta dei limiti vocali e di tecnica importanti. Completano il cast con un’esecuzione regolare Renzo Curone (Giuseppe), Gabriele Barinotto (Commissionario) e Luigi Cappelletti (Un domestico).      

In sintesi un bello spettacolo, carico di pathos, coinvolgente e capace di arrivare dritto al cuore… Un sold out meritato e un pubblico partecipe che ha omaggiato gli interpreti con copiosi e fragorosi applausi.

Annunziato Gentiluomo

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