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“La traviata” al Coccia: un allestimento di grande impatto visivo e scenico

“La traviata” al Coccia: un allestimento di grande impatto visivo e scenico

Ieri al Teatro Coccia di Novara abbiamo assistito a un allestimento de La Traviata di Giuseppe Verdi di grande impatto visivo e scenico, sicuramente delizia al cor, balsamo per l’anima.Il debutto nell’opera lirica di Giorgio Pasotti non passa, dunque, inosservato. Il bergamasco cura nel dettaglio il movimento delle masse, soprattutto nella seconda scena del secondo atto, la dimensione diadica

Ieri al Teatro Coccia di Novara abbiamo assistito a un allestimento de La Traviata di Giuseppe Verdi di grande impatto visivo e scenico, sicuramente delizia al cor, balsamo per l’anima.
Il debutto nell’opera lirica di Giorgio Pasotti non passa, dunque, inosservato. Il bergamasco cura nel dettaglio il movimento delle masse, soprattutto nella seconda scena del secondo atto, la dimensione diadica e gruppale, evidenziandosi con enfasi la vis emotiva dell’opera e marcandone il voyeurismo. È parso puntare troppo sulla postura di lato, di profilo, alla quale avremmo preferito i tre quarti: ipotizziamo che con tale scelta abbia forse voluto dare concretezza all’intenzione registica di realizzare una galleria di ricordi in cui è sempre presente il dialogo tra illusione, desiderio/sogno e realtà, modulato dall’avanzare del tempo che scandisce possibilità, occasioni e situazioni. Il tempo occupa prepotentemente la scena all’inizio del terzo atto attraverso la videoproiezione di sfondo di un orologio funzionante, le cui lancette si muovono: è inesorabile per gli esseri viventi il scorrere, in particolare per chi sa che poco le resta da vivere (Oh, la bugia pietosa ai medici è concessa). Lo spazio dell’orologio viene poi “mangiato” dal funesto destino a presagire il passaggio nell’oltre della Violetta, riprendendo la circolarità su cui tale allestimento si muove, circolarità che espande metafisicamente il dramma: sulle note dell’ouverture del primo atto, difatti, è stato rappresentato il funerale della protagonista, sulla cui bara è posta, in omaggio, una camelia bianca, proprio a identificare il contatto diretto col romanzo che ispira la trama, La Signora delle camelie di Alexandre Dumas. Un altro elemento che rafforza la circolarità è la presenza del drappo rosso, colore che rimanda alla passione, alla sessualità e alla morte: è un leitmotiv che ritroviamo all’inizio del primo atto, anche se poi viene fatto cadere quando la scena si proietta durante la festa a casa Valery; all’inizio della seconda scena del terzo atto e viene tirato su, come se fosse un tulle separativo; e come copriletto sul talamo su cui giace Violetta nel terzo atto, presente come ornamento scenico fino al finale.

Tanto i magnifici costumi di Anna Biagiotti, che evocano tutti i passaggi dell’opera e marcano le traiettorie evolutive dei personaggi, quanto le splendide videoproiezioni di Luca Attilii e le pertinenti luci di Ivan Pastrovicchio arricchiscono le scene di Italo Grassi, atte a rendere efficacemente l’alternanza di realismo e astrazione, sottolineando i contrasti emotivi dell’opera. E assistiamo a un susseguirsi di immagini antitetiche e potenti che riflettono i temi dell’amore, del sacrificio e della morte, e che culminano, nel finale, col colore oro de Il bacio di Klimt, sfondo all’abbraccio eterno dei due protagonisti. Valide e impattanti le coreografie firmate da Giuliano De Luca: i danzatori sono riusciti ad arricchire la scena impersonando, con una forte carica energetica, le zingarelle e i toreador, interagendo sinuosamente tra loro e con estrema naturalezza col resto degli attori.

Grande protagonista della serata è stato il Maestro Alessandro Cadario che ha diretto magistralmente l’Orchestra Antonio Vivaldi, interpretando con slancio la partitura verdiana, arricchendola di interessanti chiaro-scuri e armonizzandosi perfettamente con lo sviluppo della trama scandito dal cambiamento delle ambientazioni. Ha saputo gestire il rapporto fra buca e solisti in modo impeccabile, valorizzando i cantanti, supportati dal Coro Schola Cantorum San Gregorio Magno, istruito dal Maestro Alberto Sala, che si è distinto per una valida prova.

Andando ai solisti, eccellente è parsa la prova di Carlo Raffaelli che ha reso, con precisione e partecipazione, tutte le sfumature del personaggio di Alfredo Germont, la sua irruenza, i suoi moti giovanili e la sua sudditanza psicologica al padre. Una vocalità luminosa, un bello squillo, un’agilità di movimento nella partitura, con un’apertura espansa negli acuti, e un ottimo fraseggio rappresentano i dardi dell’arco del tenore. Molto ben resa la celeberrima aria Dei miei bollenti spiriti e sempre ben armonizzate le pagine di insieme, in particolare i duetti col soprano.
Alexandra Grigoras è stata un’interessante Violetta Valery. Sempre corretta in ogni sua esecuzione e sempre presente scenicamente, ha raggiunto il suo climax espressivo nell’ultimo atto dove ha reso magnificamente il dramma della protagonista e la sua trasfigurazione. La sua solida tecnica, gli aggraziati filati e la bella vocalità da sopranno drammatico le hanno permesso di rendere con grazia e pathos la famosa Addio, del passato.
Deciso, potente, elegante e determinato è stato il Giorgio Germont reso con precisione da Marcello Rosiello. La sua vocalità rotonda e pastosa ha riempito la scena, riecheggiando nel teatro come un monito divino e raggiungendo importanti tinte emotive. Il suo ottimo fraseggio e la sua capacità di giocare vocalmente, passando da pianissimi intimi a fortissimi perentori, costellano Pura siccome un angelo e Di Provenza il mar, il suol, proprio ben rese.

Grande debutto per l’allieva AMO Martina Malavolti che ha reso, con cura e grande partecipazione, il dimesso ruolo di Annina, distinguendosi per una vocalità ricca di armonici e una solida tecnica.
Non convince Mariateresa Federico nei panni di Flora Bervoix. La sua è una voce ancora priva della giusta proiezione e scenicamente manca della verve richiesta al personaggio. 
Anche la prova di Matteo Mollica nel ruolo del Barone Douphol è deficitaria di carattere mentre brillante appare la performance di Simone Fenotti, dotato di un bello squillo, nei panni di Gastone
Omar Cepparolli, grazie alla sua voce pastosa, è nel complesso un buon Dottor Grenvil e anche Ranyi Jiang porta a casa dignitosamente il ruolo del Marchese d’Obigny.
Regolari Cherubino Boscolo (Giuseppe), Silvio Giorcelli (un domestico di Flora) e Luigi Cappelletti (un commissionario).
In sintesi un gran bell’allestimento dalla verve emozionale altissima, capace di immergere lo spettatore nel dramma in scena, coinvolgendolo in un viaggio immaginifico al centro del quale vi sono i conflitti interiori e i vissuti intimi dei personaggi.
Annunziato Gentiluomo

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