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L’opera “Giuditta e Oloferne” in mostra alla Pinacoteca di Brera, ma è davvero un Caravaggio?

L’opera “Giuditta e Oloferne” in mostra alla Pinacoteca di Brera, ma è davvero un Caravaggio?

L’opera Giuditta e Oloferne della collezione francese di Tolosa ha fatto il suo ingresso il 10 novembre alla Pinacoteca di Brera, dove rimarrà esposta fino al prossimo 5 febbraio 2017. Fino a qualche mese fa molti qualificati studiosi del Merisi avevano negato l’attribuzione al Caravaggio dell’opera, gestita da Eric Turquin. Ora il dibattito torna attuale in

la-controversa-opera-giuditta-e-oloferne-francia-collezione-privata-2L’opera Giuditta e Oloferne della collezione francese di Tolosa ha fatto il suo ingresso il 10 novembre alla Pinacoteca di Brera, dove rimarrà esposta fino al prossimo 5 febbraio 2017. Fino a qualche mese fa molti qualificati studiosi del Merisi avevano negato l’attribuzione al Caravaggio dell’opera, gestita da Eric Turquin. Ora il dibattito torna attuale in occasione della mostra.
Dal punto di vista attributivo, si è schierato a favore dell’originalità del dipinto il dott. Nicola Spinosa, ex soprintendente del polo museale di Napoli che considera questa tela francese come l’originale perduto e ora ritrovato del Caravaggio.
Ovviamente tale ipotesi era stata già negata nei mesi scorsi da diversi specialisti del Caravaggio, ma adesso la decisione da parte del direttore della Pinacoteca di Brera, il dott. James Bradburne, ha riacceso il dibattito internazionale. Significativa è stata la reazione del prof. Giovanni Agosti, cattedratico e componente del Comitato Scientifico di Brera, che per protesta ha presentato le proprie dimissioni.
A tale proposito, il dott. Daniele Radini Tedeschi, autorevole esperto del Caravaggio e autore di due monografie sul pittore, ha dichiarato che a Napoli presso il Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes (Banco di Napoli) si conosceva una versione (olio su tela, 140 x 160 cm.) quasi identica a quella di Tolosa, considerata già da Maurizio Marini “copia da originale perduto” di Louis Finson (cfr. M.Marini, Caravaggio, Pictor Praestantissimus, 2005, n.78, pp.284-85).
Entrambe le opere però (Napoli o Tolosa) sono estranee al linguaggio del Caravaggio e più vicine a quello dei caravaggeschi napoletani e, per certi versi, anche a Louis Finson, autore di diverse copie tratte da originali del Merisi.
Caravaggio non sconfinava nella caricatura o nell’ironia, il suo senso tragico era estremo e, pur se parlava di abiezione, lo faceva con l’eleganza del tratto e con il lirismo della scena. In questi quadri invece ci troviamo di fronte ad una marcata impronta satirica, goffa, come ad esempio il collo dell’ancella o il ghigno di Oloferne, tutto così lontano dalla drammatica Giuditta e Oloferne di Palazzo Barberini.palazzo_brera-600x230
Sarebbe quindi scientificamente corretto domandarsi quale, tra le due versioni, sia di Louis Finson, poiché non si ritrova in nessuna delle due l’impronta pittorica caravaggesca. La versione napoletana rimanda anche a quell’oscuro autore del Cavadenti (Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti) e della Visione di San Girolamo (Worcester, Museum of Fine Arts), mentre quella di Tolosa sembra più levigata, scultorea nel tratto e nei panneggi. Ancora disperso rimane quindi l’originale del Caravaggio descritto come “quadro mezzano da camera di mezze figure et è un Oliferno con Giudita” dal Pourbus il 25 settembre 1607. Ma anche per attestare l’ipotesi finsoniana sarebbe necessario un protocollo analitico, scientifico e diagnostico, occorrerebbe considerare lo stato conservativo e la presenza di eventuali restauri. Si parla di restauri poiché è capitato molto spesso di trovare, in quadri secenteschi, interventi conservativi troppo invadenti e capaci di alterare l’attribuzione.
Oggi fortunatamente si conosce perfettamente la tavolozza utilizzata da Caravaggio, i pigmenti da lui usati nelle diverse fasi della sua produzione, la natura degli strati ovvero la preparazione, le stesure, sino ai tocchi di luce a biacca; si conoscono i tipi di tela utilizzati dal pittore e, grazie alle radiografie, si possono ricostruire retroscena fondamentali, quali ad esempio i pentimenti, necessari per escludere la possibilità di derivazione o copia. Tutto ciò, e molto altro, serve proprio per suggerire una doverosa cautela nelle attribuzioni”.
Ugualmente contraria all’attribuzione del quadro di Tolosa risulta essere la prof.ssa Mina Gregori, allieva di Roberto Longhi e autrice anche lei di rilevanti contributi saggistici, nonché curatrice di celebri mostre sul pittore lombardo.
Interessante inoltre il parere del dott. Vittorio Sgarbi il quale, pur ammettendo una possibilità di autografia, ha riflettuto sulla presunta esportazione del dipinto, difficilmente uscito dal territorio italiano durante il saccheggio napoleonico.
Dice ancora il Dott. Radini Tedeschi: “Il problema comunque, al di là delle attribuzioni che rimangono di pertinenza degli specialisti, continua ad essere quello morale: si può esporre in un museo statale italiano un dipinto appartenente ad una collezione privata, in questo caso anche estera, consentendo alla tela di consolidare il suo valore economico e, magari in futuro, di arrivare ad una vendita record?”.
Redazione ArtInMovimento Magazine

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