Dopo aver conseguito la laurea triennale in Scienze della Comunicazione a Padova, Emmanuele Ferrarini si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia in Recitazione, per poi approfondire la propria ricerca teatrale con i maestri Danio Manfredini, Maria Consagra, Julia Varley e Mario Gonzalez.La sua ricerca lo porta ad approfondire il corpo e la voce, la maschera,
Dopo aver conseguito la laurea triennale in Scienze della Comunicazione a Padova, Emmanuele Ferrarini si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia in Recitazione, per poi approfondire la propria ricerca teatrale con i maestri Danio Manfredini, Maria Consagra, Julia Varley e Mario Gonzalez.
La sua ricerca lo porta ad approfondire il corpo e la voce, la maschera, fino ad esperienze percettive più sottile.
Tra le esperienze professionali in teatro più significative come attore ricordiamo quella in cui fu diretto da Luca Ronconi (‘Itaca’), quella con Sergio Basso (‘Cessi pubblici’, ‘Voglio i soldi di Ronconi’), e quella con Silvio Peroni (‘Bash’).
Nel 2012 parte per un anno seguendo una personale ricerca teatrale in Africa (Zambia, Zimbabwe).
Nel 2013 ha vissuto sulla nave-teatro della Compagnia Azart nei Paesi Baschi (‘L’extravagant Monsieur Jourdain’), collaborando alla vita quotidiana in una compagnia di teatro internazionale.
Nel 2014 ha recitato nel film documentario ‘Ninì’ di Giustiniani-Rezzonico.
Nel 2014-2015 realizza il progetto performativo ‘Marcel’ ai Giardini di Porta Venezia (Milano) che porta avanti per dieci anni e più di cento episodi.
Fa parte della Compagnia-collettivo ‘Attori a Progetto’ e si è misurato come esperto di espressione corporea e teatro in diverse scuole di Milano.
È stato in Calabria per un progetto artistico firmato dall’Associazione Traiectoriae e siamo riusciti a intervistarlo.
Prima di tutto, vuoi che ti chiamiamo Mele o Emmanuele?
Io mi chiamo Emmanuele, ma il mio nome d’arte o “quella cosa lì” che cerco da tempo di fare è Mele. Poi però ognuno è libero di chiamarmi come vuole. Anche se io per gli amici e anche sul lavoro preferisco Mele. Insomma, se per strada mi chiami Emmanuele non mi giro ma qui va bene tutto!
In primis, ci racconti com’è andata la tua ultima esperienza professionale in Calabria?
Benissimo. Assieme a Mila Vanzini abbiamo portato in scena la lettura “La freccia di Inanna” di Domenico Gatto, su musiche di Wagner. Un’esperienza unica e un arricchimento personale e professionale.
È stata la tua prima volta in questa regione del Sud? Come ti sei trovato professionalmente e umanamente?
Era la seconda volta, perché lo scorso novembre avevo collaborato con l’orchestra di Vibo. Però la Calabria d’inverno è tutta un’altra cosa. Diciamo che d’estate era la prima volta da un sacco di tempo. C’ero stato da piccolo coi miei genitori, ma non c’ero più tornato. Mi sono trovato benissimo, forse ho messo su un paio di chiletti! Siamo (io e Mila) sempre accolti molto bene e devo dire che qui c’è davvero una profonda curiosità e un vero rispetto per la musica e il teatro.
Sappiamo che hai scritto delle drammaturgie in passato. Ce ne puoi parlare e ci puoi descrivere come avviene in te il processo creativo?
Sì, ho scritto dei testi per il teatro, sono un attore che scrive. Molte cose poi restano a dir la verità nel famoso cassetto ma alcune siamo riusciti a svilupparle e di queste una piccola parte ha anche incontrato il pubblico a teatro. È sempre un lungo processo, perché oltre alla creazione letteraria poi c’è tutto un meccanismo produttivo-distributivo che deve mettersi in moto e non è sempre facile…
Da uomo libero, aperto e curioso, con un grande anelito di autenticità, come vedi la considerazione dell’artista in Italia rispetto ad altri paesi europei?
Parlo del mondo degli attori, che è quello che conosco. Non c’è molto rispetto, se guardiamo ai fatti più che alle parole. Ma questa è la mia esperienza, non voglio dire che sia così per tutti. Manca credo un vero riconoscimento strutturale di quest’arte vista anche solo come semplice mestiere, da proteggere e potenziare se vogliamo un Paese più democratico ed equo. Forse sono mancate opportune battaglie in passato, non saprei. Ma oggi il panorama è un po’ sconfortante. In ogni caso tante e tanti colleghi si danno da fare, con coraggio e ostinazione, spero di collaborare con chi ha voglia di costruire qualcosa di bello, insieme.
Sogna, ragazzo, sogna canta Vecchioni.. Tu cosa consiglieresti a un giovane ventenne che vuole iniziare la carriera da attore oggi? Ci sono tappe formative necessarie per la sua formazione?
Direi di andare all’estero! Di imparare due o tre lingue oltre all’italiano e provare in contesti in cui il lavoro artistico sia più garantito. Ma senza illusioni perché neanche all’estero c’è l’Eldorado e sempre con un occhio di riguardo per la nostra splendida lingua e per la cultura di questo Paese che è stato storicamente costituito da un mucchio di paesi e culture differenti. Questa diversità è sempre un elemento da ricordare e valorizzare.
Sappiamo che stai lavorando su un progetto su cui studi da anni… ci puoi anticipare qualcosa?
Certo. Sto lavorando a una nuova drammaturgia sul famoso libro di Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto”. È un romanzo che amo molto, e che mi ha ispirato sia un progetto di letture all’aperto, nei parchi di Milano, progetto che ho portato avanti per dieci anni. Adesso ho all’attivo un nuovo studio su un testo tutto mio, ispirato sempre da Proust, che sto ancora elaborando in momenti di prove aperte, condividendo il processo di lavoro con tanti pubblici diversi. Sono stato anche a Parigi di recente e spero che lo spettacolo veda presto la luce e che magari possa viaggiare in lungo e in largo in tutta Europa.
[Credit: Foto a colori di Francesco Villa e foto in bianco e nero di Michele Gurrieri]
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