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“Non so perchè ti odio”: un momento di dibattito del TGLFF e un documentario di Filippo Soldi

“Non so perchè ti odio”: un momento di dibattito del TGLFF e un documentario di Filippo Soldi

Sabato mattina abbiamo partecipato a un dibattito sull’omofobia organizzato dal TGLFF – Torino Gay and Lesbian Film Festival, dall’Ordine degli Psicologi del Piemonte e dal Coordinamento Torino Pride LGBT. L’occasione è stata la proiezione del documentario “Non so perché ti odio – Tentata indagine sull’omofobia e i suoi motivi” di Filippo Soldi, che raccoglie, con immagini e testimonianze

immagineguida_tglff30Sabato mattina abbiamo partecipato a un dibattito sull’omofobia organizzato dal TGLFF – Torino Gay and Lesbian Film Festival, dall’Ordine degli Psicologi del Piemonte e dal Coordinamento Torino Pride LGBT.
L’occasione è stata la proiezione del documentario “Non so perché ti odio – Tentata indagine sull’omofobia e i suoi motivi” di Filippo Soldi, che raccoglie, con immagini e testimonianze anche crude, interviste a diversi protagonisti. Parlano le vittime: omosessuali che sono stati insultati o aggrediti fisicamente. Parlano i carnefici: la testimonianza di un giovane processato per aver ucciso un ragazzo gay. Parlano i genitori di Andrea “il ragazzo dai pantaloni rosa” che si tolse la vita nel 2012 a Roma. Parlano le psicologhe dell’Istituto Beck di Roma, che hanno visto censurati i tre volumetti dal titolo Educare alla diversità a scuola destinati alle scuole e curate dall’Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razzialilogo
Parla anche chi non arriva alla violenza manifesta, ma ha parole di intolleranza e discrimina in modi più sottili: i Giuristi per la vita che si oppongono alla “Legge Scalfarotto” contro l’omotransfobia che giace in Parlamento, il movimento di piazza delle cosiddette Sentinelle in piedi, esponenti politici di Forza Nuova.
Ne esce un quadro duro e sconcertante dell’omofobia in Italia che testimonia come la discriminazione verso l’omosessualità sia un fenomeno psico-sociale complesso che si esprime non solo a livello individuale, ma anche a livello sociale esoldi_1 culturale di un contesto che giudica in modo negativo le diversità e le differenze.
L’omofobia può prendere così le forme più esplicite e dirette delle aggressioni fisiche, delle violenze e del bullismo omofobico, ma anche quelle più sfumate, ambigue, nascoste nelle pieghe del linguaggio.

La nostra cultura è imbevuta di omofobia in diversi modi, perchè l’assunto di partenza è che l’eterosessualità è separata e distinta dall’omosessualità e che la prima è la norma: gli omosessuali sono quindi gli “altri”, quelli diversi. La normalità statistica che diventa normativa etica (ma, come diceva Dorothy Parker, “L’eterosessualità non è normale, è solo comune”).
La cultura, specialmente quella italiana, relega gli orientamenti non eterosessuali nell’oscurità, nell’invisibilità: l’importante è che non se ne parli, sono questioni private. Basti pensare all’ipocrisia rintracciabile in opinioni diffuse come “Fai quello che vuoi, basta che non si sappia” oppure “Che bisogno c’è di dire ciò che fai a letto?”.
L’omosessualità rimane così un tabù, pressata al silenzio, confinata nell’indicibile (insieme alla sessualità tout court peraltro). stophomophobia
E il fatto che sia una questione principalmente maschile è significativo: di solito sono gli uomini eterosessuali ad esprimere livelli più alti di pregiudizio antiomosessuale rispetto alle donne, perché deriva dalla costruzione sociale nella società occidentale di ciò che è considerato maschile e cosa femminile, concepiti come categorie discrete e opposte. Una contrapposizione netta conduce all’equazione non mascolino = effemminato = gay, e quindi mascolinità e omosessualità appaiono antitetiche. Il pregiudizio di tipo omofobico servirebbe così a mantenere una maggiore distinzione e distanza (perchè bisogna essere un “vero uomo”), per preservare l’immagine di sè, la propria autostima e il proprio status di potere.
Questa pressione al silenzio culturale si traduce in scarsità di modelli positivi (ad esempio nei mass-media) che da un lato induce le persone glbt a rimanere invisibili, dall’altro alimenta gli stessi stereotipi e pregiudizi in un circolo vizioso.
Tralasciando i messaggi diretti di insulto, condanna morale, censura o patologizzazione, il pregiudizio omofobico passa attraverso messaggi quotidiani, spesso indiretti: si minimizza la discriminazione nei loro confronti (come se fosse una questione ormai superata, del passato), si banalizza (“Al giorno d’oggi è ormai diventata una moda/Ormai i gay non hanno più problemi”), si considerano non necessarie le richieste di cambiamento dello stato normativo attuale (ad esempio una legge che punisca i reati discriminatori di tipo omotransfobico o che riconosca le unioni civili). Si giunge perfino a negare la realtà (un intervistato del documentario afferma “Non esiste l’omofobia, anzi c’è eterofobia!”).

Risuona la tipica frase: “Non ho nulla contro, ho tanti amici gay, però … non devono ostentarlo/non possono pretendere di sposarsi (o avere figli)” ecc.
Le voci e i volti delle testimonianze del documentario “Non so perchè ti odio” rivelano che le radici dell’omofobia stanno nell’ignoranza e nella paura, che mettono in dubbio non solo e non tanto l’essere gay o lesbica in sè, ma la loro possibilità di vivere le relazioni al pari delle persone eterosessuali, in termini di visibilità e riconoscimento sociale.

Pier Luigi Gallucci
[Fonti delle immagini: TGLFF, cinegiornalisti.com, unar.it, gaynet.it]

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