Dopo il successo della scorsa stagione con Madama Butterfly, IMARTS – International Music and Arts – fa il bis con una nuova produzione de Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, il cui allestimento porta la firma di Damiano Michieletto. Il regista colloca la narrazione in un mondo vivace e surreale, dove i personaggi diventano maschere moderne ispirate alla
Dopo il successo della scorsa stagione con Madama Butterfly, IMARTS – International Music and Arts – fa il bis con una nuova produzione de Il barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini, il cui allestimento porta la firma di Damiano Michieletto.


Il regista colloca la narrazione in un mondo vivace e surreale, dove i personaggi diventano maschere moderne ispirate alla Commedia dell’Arte. Lo spettacolo si apre come un viaggio in treno, attraversando luoghi e situazioni dell’opera rossiniana con uno spirito giocoso e visivamente sorprendente, muovendosi tra costumi eccentrici, trovate sceniche intelligenti e un’energia teatrale coinvolgente.
Si tratta di un’opera minimal al centro della quale quale si distinguono quattro elementi fondamentali, intesi sia come leve strutturanti sia come leitmotiv dominanti.


Il primo è il magico gioco sul colore che, oltre a caratterizzare i magnifici ed eccentrici costumi, firmati da Carla Teti, caratterizza ogni singolo personaggio e specifica ogni singolo momento scenico, attraverso il cambiamento della tinta del fondale luminoso.


Il secondo è la circolarità che contiene ed espande, in un certo senso, quanto avviene in scena, rassicurando il pubblico di essere in presenza di una certa linearità espositiva: in tal senso si ricorda l’esecuzione del Conte di Almaviva che canta sulla scala, all’inizio del primo atto e alla fine del secondo; le sedie rosse che compongono in modo multifunzionale la scena, divenendo, tra l’altro, percorso o sentiero, sedie da salone, posti di attesa in una stazione, sedili di treni; la presenza dei cuscini che segnano un percorso seguito da Rosina e che, successivamente, vengono buttati addosso a Don Bartolo presagendo il finale che lo vedrà “fregato”; l’iniziale momento di pioggia che richiede degli ombrelli rossi che si ripete verso la conclusione; le palle colorate che ricorrono due volte e con cui i solisti giocano praticamente alla fine di entrambi gli atti; e lo stesso viaggio di andata e ritorno da Rho a Siviglia, viaggio che si converte nel terzo elemento fondamentale dell’allestimento sia in termini macro perché contiene tutta la narrazione, sia perché rappresenta la metafora dell’evoluzione della storia e dei singoli personaggi che vi partecipano, e che porterà al finale sperato, dove, al di là degli stratagemmi, degli inganni e dei travestimenti, vince l’amore.


Il quarto è ultimo è il puntare sui figuranti e sui mimi teatrali che liberano il coro permettendo a quest’ultimo un focus totale sulla partitura, e che animano la scena, dando ulteriore colore, dinamizzando la storia con una pennellata di dimensione ludica, e rappresentando in toto le scene, favorendone la continua rigenerazione.


Curatissima, quasi maniacale, la geometra degli spazi e super scelti gli oggetti scenici, perfetti in linea con l’idea registica che vuole in qualche modo anche sfiorare l’ambientazione fiabesca, favorita da Don Basilio vestito da serpente o da rettiliano, a rappresentare l’inganno, la calunnia e la manipolazione, quasi a richiamare il serpente della Genesi che tenta Adamo ed Eva, e quindi introducendo un tocco di mitologico moraleggiante ed educativo: incarna la corruzione e la bassezza dei costumi del tempo, appoggiando sempre e comunque il più potente, e vendendosi per pochi denari.


Rimanendo sulla parte tecnica, buona la direzione delle luci firmata da Alessandro Carletti che nutrivano l’atmosfera onirico-fiabesca, e segnaliamo la collaborazione di Gloria Campaner come assistente alla regia e di Tommaso Franchin per la ripresa della regia di Michieletto.


Incalzante e raffinata la direzione di Jacopo Brusa che interpreta con sagacia e colore la partitura rossiniana, valorizzando l’Orchestra Filarmonica Italiana e gestendo, con maestria e attenzione, il rapporto tra la buca e i solisti, a vantaggio di questi ultimi.
Buona la prova del Coro Colsper, istruito da Andrea Bianchi, che ha dato prova di compattezza e coesione, nonostante la lateralizzazione dell’ubicazione. Valido l’apporto del maestro concertatore che ha accompagnato nei recitativi i solisti.


Passando al cast, un plauso generale a tutti, in quanto sono stati tutti all’altezza del ruolo e hanno fornito un valido apporto al successo della serata.
Tra tutti spiccano Figaro e Rosina. Il Factotum sivigliano è stato interpretato con freschezza, precisione e totale dedizione da Vincenzo Nizzardo. La sua vocalità rotonda e la sua lama argentea, unite a una valida tecnica, gli hanno consentito di rendere omaggio al celeberrimo ruolo rossiniano che ha saputo pennellare con leggiadra ironia, grazie alla sua naturale espressività e alla sua elegante vis comica. Pieno il suo e carico di pathos il suo Largo al factotum.


Mara Gaudenzi veste, con assoluta precisione, la desiderata dell’opera, Rosina. La sua voce ben proiettata, il suo colore e anche la sua stessa fisicità sono perfetti per questo ruolo. Il mezzosoprano ci offre tutte le sfumature della protagonista femminile de Il barbiere, mette in scena con spontaneità tutti i vezzi e l’arguzia di questa giovane donna che segue l’amore e che è ben consapevole del suo potere sugli uomini. Accarezza i presenti la cavatina Una voce poco fa qui nel cor mi risuonò.


Nonostante fosse visibilmente indisposto fisicamente e portasse i segni di una stanchezza fisica evidente, Pietro Adaini ha, nel complesso ben reso il complesso ruolo del Conte d’Almaviva, sfoggiando un bel colore e caratterizzando tutte le anime del multiforme personaggio che, seguendo i consigli del fido Figaro, si trasveste da Lindoro, da soldato ubriaco e da maestro di musica pur di conquistare la sua amata. Conosciamo lo squillo, la luminosità e la proiezione della voce del tenore siciliano che, nelle prossime recite, gli consentiranno di vestire magistralmente questo ruolo belcantista che tanto gli si addice.


Don Bartolo è stato reso con precisione scenica e vocale da Enrico Marabelli che ha dato prova di un’impeccabile verve scenica, che ha saputo andare al di là di un costume ingombrante, tutt’altro che valorizzante. Bella voce, buona musicalità e buon ritmo per lui: ben timbrata la sua A un dottor della mia sorte.


Interessante l’interpretazione di Don Basilio da parte di Graziano Dallavalle che sfoggia una linea di canto corretta e ben scandita, che raggiunge il suo climax nella celeberrima cavatina La calunnia è un venticello dove l’appoggio è chiaro e si muove, con leggiadria, modulando in modo pertinente i volumi e l’emissione.


Francesca Mercuriali è un’eccellente Berta dalla luminosa lama e dal bello squillo. Agisce sapientemente sulla partitura, offrendo anche nelle pagine di insieme, un significativo contributo. Valida la sua interpretazione de Il vecchiotto cerca moglie che Michieletto infarcisce con tinte di sensualità che consentono al soprano di poter esprimere anche questa sua parte.


Molto valida la resa di Fiorello da parte di Giulio Riccò. La bella voce, rotonda e pastosa, dotata di ottimi centri e di freschezza e agilità, e la sua naturale mimica facciale per cui non si può provare una subitanea simpatia, gli consentono di portare a casa un ottimo risultato.


Quindi che dire? In sintesi un allestimento vivace, colorato, fresco con un cast che, anche nelle pagine di insieme, ha saputo dar prova di grande armonizzazione. Abbiamo percepito una bella energia e un grande affiatamento tra i solisti, sicuramente ingredienti favorevoli affinché si realizzi quella magia del teatro che conquista il pubblico e lo fa tornare a casa felice e contento.



Annunziato Gentiluomo
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Paola Pannicelli
11 Ottobre 2025, 6:28 pmGrazie per il sapiente coinvolgimento e lo stimolo
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