La versione del Teatro Regio di Torino di Rigoletto di Verdi ha avuto un successo di pubblico impressionante. Sold out da ancora prima del debutto dell’opera al teatro torinese, frutto sicuramente di premesse che non hanno certo deluso. Noi abbiamo potuto godere entrambi i cast e sarà nostra cura su questi argomentare. Leo Muscato cura
La versione del Teatro Regio di Torino di Rigoletto di Verdi ha avuto un successo di pubblico impressionante. Sold out da ancora prima del debutto dell’opera al teatro torinese, frutto sicuramente di premesse che non hanno certo deluso. Noi abbiamo potuto godere entrambi i cast e sarà nostra cura su questi argomentare.


Leo Muscato cura la regia dello spettacolo, seguendo con fedeltà il libretto e trovando una perfetta sinergia con la direzione musicale: l’effetto è sicuramente di impatto, costringendo lo spettatore a una visione dedicata, immersiva e totale. Molto azzeccata la scelta dell’impianto scenico costituito da una piattaforma girevole, distribuita in spazi – la sala delle feste del duca, il ricovero a cui Gilda vive con altre pari, con annessa la cappella della Madonna, l’ambiente della strada funzionale al rapimento e alla conoscenza e all’ingaggio di Sparafucile, la sala delle statue, tutte mutilate, in cui padre e figlia si rifugiano dopo le insidie del duca, e la casa-locanda di Sparafucile e Maddalena – che si compongono, partecipando all’evoluzione psicologica del dramma. Decisamente curati gli spazi e le interazioni dei personaggi: non c’è alcun movimento degli attori che non sia carico di significato. Suggestiva la scena in cui Rigoletto reclama sua figlia e viene accolto dai borghesi e dai nobili del tempo con i visi coperti da grandi quotidiani aperti, proprio ad evidenziare il No communication! e quindi il loro disinteresse per il bisogno dell’uomo, che non è il classico deforme, ma un individuo imbruttito dalla corruzione della società in cui vive. Accanto a questa lettura del personaggio e al luogo dove si nasconde Gilda, accudita da suore, Muscato si prende altre due libertà che risultano funzionali e ben presentate. La prima è la scelta di far morire Monterone alla fine del primo quadro e farlo riapparire come fantasma quando Rigoletto ripensa alla maledizione: un modo per approfondire l’idea di destino, il senso di colpa e come il male fatto ritorna anche sotto forma di rimorsi. La seconda è aver reso l’abitazione di Sparafucile un luogo di perdizione con prostitute desiderose di far godere i propri amanti. Questo è una sorta di leit-motiv che ricorre anche all’inizio, nella sala delle feste del duca, e quando Rigoletto cerca di far comprendere a Gilda la vera natura dell’uomo che ama, a sottolinearne quasi la patologia ossessiva, i discutibili costumi e la sua considerazione delle donne.

Delle tinte ricordano il cinema noir quindi e un’idea originale e stimolante quella di Moscato che si è avvalso di valide maestranze, come quella di Federica Parolini che cura con grande attenzione le scene, quella di Silvia Aymonino che firma costumi, a connotazione del mondo che si andava a rappresentare, e quelle di Alessandro Verazzi che cura le luci che paiono fredde, atte a scandire la perversa ambiguità di ciascuno, obbligato a vestire un ruolo e a rispondere a quanto la società impone.

Magistrale la direzione di Nicola Luisotti, nocchiere dell’Orchestra del Regio, ensemble musica sempre eccellente. La lettura dell’opera di Luisotti è incalzante, dinamica e ben scandita. Accompagna con grazia e precisione chirurgica ogni movimento in scena, ciascuna sfumatura emotiva e ogni sfaccettatura drammaturgica, contribuendo con solidità alla comprensione dell’opera e alla capacità immersivo-ipnotica dell’allestimento tutto. Cura con partecipazione il rapporto tra buca e solisti, e accompagna con gusto il Coro del Regio, istruito da Ulisse Trabacchin, che dà prova di grande compattezza e presenza.
Entrambi i cast di tutto rispetto.

Nel primo spicca Giuliana Gianfaldoni che veste i panni di Gilda, rasentando la perfezione. La sua è una vocalità vellutata e agile, capace di muoversi con destrezza in tutta la partitura verdiana. La sua musicalità è viva, la sua tecnica pregiata e la sua verve scenica è grande, capace di rappresentare tutti gli anfratti psicologici della condizione di figlia, di donna, di amante e di vittima sacrificale consapevole. Impressioni sono i suoi legati e i suoi sfumati, capaci di ipnotizzare i presenti che rimanevano sospesi attendendo ogni chiusa per restituirle copiosi applausi, l’unico modo per ringraziarla di averli fatti sognare, trascinandoli nel suo mondo, nella sua realtà, nel suo dramma.
Ottima la prova di George Petean che rende con grande solidità vocale e scenica il ruolo del titolo. Espressività, presenza, un buon fraseggio, una valida tecnica e una grande esperienza gli consentono di risolvere alla grande il complesso personaggio di Rigoletto, che tratteggia dal punto di vista scenico in modo assolutamente convincente.

Piero Pretti si confronta con una delle partiture tenorili più complesse del panorama verdiano e lo fa con grazia, confermando un pulita linea di canto, uno squillo nobile e una naturalezza nel muoversi nel registro acuto. Soprattutto nel primo atto il suo Duca di Mantova non è parso totalmente amalgamato all’assetto scenico, come se alcuni elementi o scelte registiche “ingolfassero” la sua espressività.


Possente la voce di Goderdzi Janelidze (Sparafucile) non sempre perfettamente proiettata mentre elegante ed espressiva la vocalità di Martina Belli che si muove sinuosamente in scena, scandagliando a dovere la psicologica di Maddalena.
Passando al secondo cast, spicca invece il Duca di Mantova, reso con partecipazione, controllo e precisione da Oreste Cosimo. La sua vocalità importante, l’eccellente fraseggio e la sua solida tecnica gli permettono di risolvere il complesso ruolo verdiano, offrendoci degli acuti con un certa rotondità, raggiunti con un’impulsività di tenore ruspante e appassionato. Credibilissimo anche scenicamente, data la disinvoltura con cui muove il proprio corpo e interagisce con le masse, con i piccoli gruppi e con i singoli.

Buona l’interpretazione di Gilda di Daniela Cappiello che abbiamo molto apprezzato nel ruolo di Adina del precedente allestimento torinese. Il bel colore della voce, la pulita e regolare linea di canto, il buon fraseggio e la solida tecnica, la portano a un interessante Caro Nome, reso con gusto. Apprezzabilissimi il suoi sfumati e la grazia della resa della frase musicale.

Anche David Cecconi è un convincente Rigoletto. La sua voce è ben timbrata e ben proiettata, e la sua naturale verve scenica gli consento di rendere tutte le sfaccettature psicologiche del personaggio, forse accentuando maggiormente quella del nevrotico giullare di corte, dalla lingua biforcuta, piuttosto quella del padre amorevole..

Luca Tittoto, dotato di un importante strumento, è stato un ottimo Sparafucile, affiancato dalla voce calda e profonda di Vera Pilipenko che porta quasi all’eccesso l’erotismo di Maddalena. dallo strumento sontuoso e una simile autorevolezza si riscontra anche nel Monterone Emanuele Cordaro.
Tra i comprimari, nel complesso tutti all’altezza, si distinguono Emanuele Cordaro (Monterone) per la sua vocalità ben proiettata e per la sua autorevolezza scenica, e il paggio della duchessa di Chiara Maria Fiorani, per come ha cesellato il suo ruolo. Ricordiamo, per dovere e attenzione, anche Siphokazi Molteno (Giovanna), Janusz Nosek (Marullo), Daniel Umbelino (Borsa), Tyler Zimmerman (Ceprano), Albina Tonkikh (Contessa di Ceprano) e Mattia Comandone (Un usciere di corte).
Veramente un allestimento di tutto rispetto, immersivo e ben realizzato in ogni sua parte, molto apprezzato dal pubblico in sala!
Annunziato Gentiluomo
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