Il Teatro Regio di Parma, per inaugurare la Stagione Lirica, che pare essere veramente superlativa, con un titolo verdiano, non molto eseguito, ovvero con Giovanna d’Arco, che sarà ancora in scena oggi, sabato 1 febbraio, alle ore 20.00. Tale allestimento ha previsto due, diremmo, grandiosi debutti per la piazza parmense: la regista Emma Dante e il
Il Teatro Regio di Parma, per inaugurare la Stagione Lirica, che pare essere veramente superlativa, con un titolo verdiano, non molto eseguito, ovvero con Giovanna d’Arco, che sarà ancora in scena oggi, sabato 1 febbraio, alle ore 20.00. Tale allestimento ha previsto due, diremmo, grandiosi debutti per la piazza parmense: la regista Emma Dante e il direttore Michele Gamba,



Il minuzioso lavoro di Emma Dante si è costruito su un nuovo allestimento realizzato nei laboratori e con le maestranze del Teatro Regio di Parma con le mobili e floreali scene di Carmine Maringola, i costumi postmoderni di Vanessa Sannino, le profonde luci di Luigi Biondi e le intense coreografie di Manuela Lo Sicco. La regista ha giocato molto sull’espressività corporea, rendendo fluidi i passaggi dell’opera. Valorizzando i corpi ha rappresentato l’anima della foresta di Domrémy che, durante la notte, si popola di demoni, e i dissidi interiori di Giovanna, crocevia di tentazione da parte delle potenze infernali e rivelazione dagli spiriti eletti, rendendolo anche un riempitivo dinamico di altri momenti scenici. La sua intenzione registica è chiara: rappresentare l’opera nei suoi contrasti, approfondendo magistralmente la figura di Giovanna, emblema di questa dualità, divisa tra attaccamento al mondo terreno e quindi all’amore sentimentale per Carlo VII e a quello devozionale per il padre Giacomo, e il mondo ultraterreno, con cui è in perenne contatto anche attraverso la medianità onirica. Anche il contesto enfatizza quest’aspetto in quanto, accanto alla serenità bucolica, rappresentata florealmente, si oppone la violenza della guerra; alla verità del vissuto della protagonista e alla sua purezza si oppone il disonore, falsamente rilevato dalla miope visione del padre; e alla compagine francese si oppone quella inglese; all’autenticità e alla genuinità di alcuni personaggi si contrappongono la falsità e l’ambivalenza. Molto ben curata ogni sfumatura della psicologia dei personaggi e gestiti maniacalmente gli spazi, con movimenti di masse precisi, come, ad esempio, le spade degli inglesi tese contro Giacomo o il suo stimolarli, ricorrendo a un effige, contro l’eroina.



Totalmente convincente la direzione di Michele Gamba, che sale sul podio della ben assortita compagine dei maestri d’orchestra della Filarmonica Arturo Toscanini, con fare deciso, attento, appassionato, risultando capace di trovare quell’unico e speciale colore armonico che Verdi desiderava trasmettere attraverso quest’opera, ed esaltando, con consapevolezza, il carattere sacro e mistico di cui sono imperniate tutte le pagine di Giovanna d’Arco. Inoltre il direttore milanese è un perfetto trait d’union tra la buca e i cantanti che valorizza e sostiene.



Una nota di merito doverosa va al Coro del Teatro Regio di Parma, istruito da Martino Faggiani, che in quest’opera ha un ruolo considerevole: dà prova di compattezza, pulizia di suono, consapevolezza della propria importanza e accompagna i solisti in modo impeccabile, funzionando molto bene anche scenicamente.



Questo allestimento si è fregiato della presenza di tre solisti di eccezione che hanno saputo, attraverso la propria arte e la propria generosità, dare omaggio a Verdi e valorizzarne pure quelle pagine che non vengono sovente lette e che parte della critica ha messo da parte, apostrofandole come “giovanili”, embrionali, e non includendole nel grande repertorio operistico. Le loro pagine di insieme sono sempre perfettamente armonizzate e ben strutturate: meravigliosa è stata la resa di Son guerriera che a gloria t’invita.



Nino Machaidze ha vestito i panni di Giovanna con una grazia assoluta e con una consapevolezza scenica impressionanti, risultando sempre credibile e esteriorizzando il carattere infiammato dell’eroina. Conosciamo lo spessore artistico del soprano georgiano che, in questo personaggio, può permettersi delle mezze-voci e dei passaggi di registro veramente perfetti, favoriti dalla sua duttilità e dalla sua estensione. Raggiunge il suo climax nella complessa O fatidica foresta.


È affiancata da due fuoriclasse.



Luciano Ganci è un ineccepibile Carlo VII: arrivano al pubblico tutte le sfumature del personaggio, tutte le sue indecisioni e tutti i suoi desideri. L’uomo, il sovrano, il credente, l’innamorato, l’affascinato, l’incredulo e l’addolorato sono tratteggiati ad arte, tanto scenicamente quanto vocalmente, dal tenore romano che si conferma affidabilissimo e che riesce a tenere alta l’attenzione anche nella lunga (e a tratti monotona) sua iniziale cavatina Sotto una quercia parvemi. Il suo luminoso corpo vocale, alla base del quale vi sono ampiezza, musicalità, eloquenza, tecnica e squillo, gli hanno consentito slanci acuti sicuri e pieni, validi sfumati e un’ottima resa del registro centrale. Perfetto sempre il suo fraseggio, e composto e al contempo dinamico il suo stare in scena.



Grande rivelazione della serata è Ariunbaatar Ganbaatar che si è calato, in modo perfetto, nel complesso ruolo di Giacomo. Il baritono mongolo, dalla voce pastosa e imponente, ha manifestato una tecnica e un fraseggio impressionanti, ricorrendo magistralmente ai legati e alle mezze-voci, proprio come i dettami della più pura tradizione vocale impone. Validissimo scenicamente e fini le sue esecuzioni di Franco son io, ma in core e Speme al vecchio era una figlia…



Anche i comprimari Francesco Congiu (Delil) e Krzysztof Bączyk (Talbot), si sono ben distinti nelle proprie parti, risultando credibili e dando prova di buone vocalità
Quindi un’inaugurazione a cinque stelle per la Stagione operistica del 2025 del Teatro Regio di Parma…

Annunziato Gentiluomo
[Foto Roberto Ricci]
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