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“Non me ne importa un piffero!” La musica in Canavese attraverso i secoli fino alle Pifferate del Carnevale di Ivrea

Sulla via di coloro che, desiderando raggiungere la Francia attraverso i numerosi valichi alpini, percorrono Piemonte e Val d’Aosta, sul confine tra queste due regioni, si estende il Canavese, definito da qualcuno cuore segreto del Piemonte. Tale affascinante distesa, addossata a basse colline boscose d’origine morenica, è una terra intima e riservata, gelosissima custode dei suoi “gioielli” naturali e architettonici, tra cui anche testimonianze dell’esistenza di una vivace attività musicale. Fin dai tempi dei Romani, che in questo luogo fondarono nel 100 a.C. Eporedia, l’attuale Ivrea, come base militare nella guerra contro i Salassi, s’ipotizza un certo fermento artistico e…

Sulla via di coloro che, desiderando raggiungere la Francia attraverso i numerosi valichi alpini, percorrono Piemonte e Val d’Aosta, sul confine tra queste due regioni, si estende il Canavese, definito da qualcuno cuore segreto del Piemonte. Tale affascinante distesa, addossata a basse colline boscose d’origine morenica, è una terra intima e riservata, gelosissima custode dei suoi “gioielli” naturali e architettonici, tra cui anche testimonianze dell’esistenza di una vivace attività musicale.
Fin dai tempi dei Romani, che in questo luogo fondarono nel 100 a.C. Eporedia, l’attuale Ivrea, come base militare nella guerra contro i Salassi, s’ipotizza un certo fermento artistico e musicale. Commedie e tragedie, di lingua latina e greca, erano rappresentate nel teatro cittadino che, con la cavea addossata ad un declivio naturale roccioso, poteva accogliere sulle gradinate oltre mille spettatori. Ivrea fu un importante centro religioso, culturale e politico. Godette eccezionalmente d’autonomia sotto la guida del suo vescovo Varmondo che tenne la carica dal 969 per quarant’anni e si distinse per l’antagonismo nei confronti di Arduino, incoronato primo re d’Italia dai Longobardi nell’anno 1002. Varmondo creò una scuola superiore frequentata da laici ed ecclesiastici dove s’insegnavano le scienze più elevate, le lettere, le arti e la musica. I codici conservati alla Biblioteca Capitolare di Ivrea, ascrivibili ai secoli VII – XV, sono testimonianza di tale attività istruttiva attraverso le modificazioni della scrittura musicale, dalla notazione neumatica a quella quadrata con uso del tetragramma.
Biandrate, Angioini e marchesi di Monferrato si avvicendarono, fra una guerra e l’altra, nel possesso di Ivrea fino a quando intervennero i Savoia stabilendo il loro potere sulla regione. Il Castello di S. Maurizio, detto “Castellazzo” in senso dispregiativo perché simbolo della tirannia, fu distrutto dalla popolazione di Ivrea con un atto rivoluzionario per ben due volte: la prima nel 1194 che liberò la città dal castellano Raineri di Biandrate; la seconda circa cento anni più tardi, nel 1292, quando fu cacciato Guglielmo VII marchese di Monferrato.
Nel 1356 il conte di Savoia Amedeo VI detto il Conte Verde fece costruire il castello delle quattro torri (una delle quali,Tamburi durante la sfilata contenente polvere da sparo, la Torre della Polzera, esplose il 17 giugno 1676 a causa di un fulmine e non fu più ricostruita) che ancora oggi si erge nel borgo antico. Fu l’inizio di un’epoca di pace sotto la bianca croce dei Savoia durante la quale vennero organizzati numerosi balletti di corte. Nel XVII secolo Torino fu capitale dello spettacolo europeo.
Non si può parlare di musica nel Canavese senza fare menzione delle “Pifferate o Marce” che accompagnano, fin dalla sua prima edizione unificata del 1808, lo storico Carnevale di Ivrea. L’origine del carnevale di Ivrea rievoca le insurrezioni popolari contro i Biandrate e i marchesi di Monferrato. La leggenda, riunendo fatti d’epoche diverse, narra della mugnaia Violetta che, ribellandosi allo ius primae noctis, avrebbe decapitato il tiranno conducendo il popolo alla rivolta.
Il corteo del carnevale è accompagnato, durante il giro della città, da una banda di pifferai e tamburini (chiamati tradizionalmente “ij Pifer”) che, con pifferi, tamburi e gran cassa, eseguono un repertorio di circa 40 brani, tra marce e musiche della tradizione. Alcuni di questi sono, con tutta probabilità, l’unica documentazione di quella che fu la musica dell’esercito sabaudo. Pur in mancanza di notizie sicure da fonti scritte, è verosimile ritenere che il Gruppo dei Pifferi e dei Tamburi tragga le proprie origini dalle bande militari dell’esercito piemontese di Emanuele Filiberto. Di bande simili erano dotati anche i presidi militari nelle principali roccaforti dello stato, quali il Castello di Ivrea: bande che parimenti partecipavano a tutte le manifestazioni civili, militari e religiose. I primi musicisti utilizzati nelle sfilate carnevalesche erano gli stessi che militavano nelle file del locale reggimento provinciale.
Pifferi del Carnevale d'IvreaLe musiche eseguite da tali complessi erano di tradizione e origine varie: tedesca, spagnola, italiana e soprattutto francese. Forse fu addirittura Jean-Baptiste Lully (famoso musicista di origine fiorentina, direttore dei 24 Violons, la banda del Re Luigi XIV) a comporre alcune di queste marce speciali per le truppe piemontesi.
Non tutte le pifferate risalgono al periodo sabaudo. Alcune sono di origine napoleonica, risorgimentale oppure tratte dal folklore musicale piemontese. Durante il carnevale le marce eseguite cambiano a seconda del rione attraversato dal corteo carnevalesco e dei diversi momenti del carnevale.
Cinque marce, corrispondenti ognuna alle antiche parrocchie di S. Lorenzo, S. Salvatore, S. Domenico, del Borghetto e di S. Pietro, vengono eseguite solo nel percorrere il territorio di ciascuna parrocchia.
La pifferata di Monsignor Vescovo è eseguita il Giovedì Grasso quando il Generale, col suo stato maggiore e gli Abbà, si reca a far visita al Vescovo.
La Diana è la pifferata che apre il carnevale il giorno dell’Epifania; talvolta è impiegata anche come “serenata” nella visita al Generale o agli Abbà.
La marcia funebre risuona, come chiusura del Carnevale, la sera del martedì grasso.
Alcuni brani si eseguono quando il corteo storico è fermo: La pifferata delle bandiere, La pifferata degli Abbà, Il passo di carica, Il piede fermo e alcune monferrine (gaie e vivaci danze popolari piemontesi aggiunte verso la fine dell’Ottocento), una delle quali detta Monferrina di S. Michele.
La pifferata di Palazzo di Città risuona nella Piazza omonima ogni qual volta il corteo riprende il giro della città. È la più conosciuta perché costituisce anche l’introduzione alla Canzone del Carnevale. Questa canzone fu composta e orchestrata nel 1858 (anno della comparsa in corteo del personaggio Mugnaia) da Lorenzo Olivieri che ebbe per molti anni l’incarico di maestro della banda musicale a Ivrea. Nel 1904 Angelo Burbatti (1868- 1946), maestro di musica di Montalto Dora, compositore e organista della Cattedrale di Ivrea, ne fece anche una trascrizione per canto e pianoforte. Le pifferate sono ancora tramandate esclusivamente a memoria, di padre in figlio. Nel 1904, però, Angelo Burbatti per evitare che, col passar del tempo, questa tradizione potesse arrivare ad estinguersi, decise di fermarle sul pentagramma. Radunò i pifferai e tamburini in un luogo tranquillo vicino al Lago S. Michele e segnò, nota per nota, le varie pifferate, man mano che venivano eseguite.
Oggi il gruppo dei Pifferi e Tamburi è formato da una quarantina di persone di ogni età, di cui venticinque sfilano durante il Carnevale. Per imparare a suonare il Piffero (Flauto dolce in sol, dal suono acuto e di lunghezza media) occorre frequentare un corso con tanto di esame finale che porta all’inserimento nel gruppo. I Pifferi e i Tamburi si esercitano con delle prove d’insieme, durante tutto l’anno, esattamente come tutti gli altri complessi di strumenti.
Per rispetto verso l’antico strumentino (assai biasimato nei programmi scolastici ministeriali) e l’ammirazione verso un così bel gruppo di amatori appassionati, il popolo canavesano ha letteralmente eliminato dal proprio vocabolario l’espressione “Non me ne importa un piffero!”. Pertanto ai turisti in visita a Ivrea consigliamo di non pronunciare mai, durante il Carnevale, queste parole, soprattutto se sprovvisti di cappello frigio, tradizionale copricapo rosso, unica protezione per non diventare bersaglio degli Aranceri, protagonisti della battaglia delle arance.
Chiara Marola
Redazione Artinmovimento Magazine
(Foto di Barbara Torra)

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