La traviata è sempre La traviata, e il Teatro Superga di Nichelino (TO) ha avuto il merito di proporla a un costo decisamente accessibile. Peccato che il pubblico non ha saputo cogliere tale opportunità. Tante lamentele per i costi inaccessibili dell’opera e poi quando qualcuno investe e lavora in tal senso la risposta è veramente
La traviata è sempre La traviata, e il Teatro Superga di Nichelino (TO) ha avuto il merito di proporla a un costo decisamente accessibile. Peccato che il pubblico non ha saputo cogliere tale opportunità. Tante lamentele per i costi inaccessibili dell’opera e poi quando qualcuno investe e lavora in tal senso la risposta è veramente sconfortante. Non mollate! ci sentiamo di dire agli organizzatori. Quello che fate è veramente importante!
Per quanto la messa in scena, abbiamo potuto godere di un allestimento minimal, le cui scene sono firmate da Emanuele Sinisi, ma basato su un’idea ben precisa, proposta in modo coerente. Violetta è al centro di tutto l’azione: è un’attrice, una modella osservata dagli occhi di tutti i presenti e soprattutto da un altro personaggio materiale che è la macchina fotografica/videocamera in scena nel I e nel III atto, prima a destra e poi a sinistra del palco. Con quello strumento la protagonista ha un rapporto quasi simbiotico. Quel medium può essere considerato un alter ego dello specchio a cui più volte ricorre, lo sguardo della massa mediatica che giudica, o il produttore di fotogrammi che accompagnano l’evoluzione del personaggio o ancora una sorta di collante di tutta la regia di Roberto Catalano che gioca molto con la fotografia. Dall’inizio infatti i pezzi del viso di Violetta sono appesi sul fondale bianco in ordine sparso. Quegli stessi pezzi sono presi da tutti gli attori in scena eccetto che dalla protagonista stessa. Vengono scambiati fin quando nel finale, una volta trascese le spoglie mortali, l’immagine si ricompone. Il regista pare quasi comunicarci che solo la morte è in grado di sciogliere la frammentazione del personaggio principale, solo la morte è in grado di allineare corpo e anima. Molto ben curate le luci che danno spessore all’opera e creano profondità e chiaro-scuri necessari a riempire la scena che troppe volte pare spoglia, non tanto per la mancanza di oggetti scenici, quanto per il comparto coro. Solo tre donne – Veronica Ghisoni, Afra Morganti e Adriana Patanè – sostenute dai comprimari. Comunque un numero troppo modesto che ha fatto perdere molto ai primi due atti. Sarebbero bastati forse altri otto componenti, cinque donne e tre uomini, e la resa sarebbe stata sicuramente all’altezza. Chi c’era ha fatto quanto ha potuto. Quindi un po’ troppo PocketOpera… I costumi di Ilaria Ariemme sono ben allineati alle scene.
Rispetto invece alla parte musicale, abbiamo apprezzato l’attenzione e la maniacale precisione del M. Jacopo Brusa che ha saputo guidare molto bene l’Orchestra 1813, ridotta rispetto a quanto richiesto dal compositore di Busseto, che ha saputo esprimersi con eleganza. Una versione con un ritmo sostenuto, capace però di rendere con cura le arie di maggior intensità emotiva.
Passando al giovanissimo cast, i tre protagonisti hanno affrontato il proprio ruolo con professionalità anche se le imprecisioni non sono certo mancate. Abbiamo apprezzato tra tutti Guido Dazzini nei panni di Giorgio Germont. Voce profonda, potente e ben impostata. Dotato di buon fraseggio e buona tecnica, avremmo solo desiderato in alcuni finali una maggiore rotondità e non quelle decise chiusure. Buona la prova di Sarah Tisba che ha vestito il complesso ruolo di Violetta Valery. Un’artista dal grande potenziale: una bella voce, luminosa, ben proiettata che si muove bene sia sul registro grave sia su quello acuto, una buona presenza scenica. Ha da lavorare sui fiati e soprattutto sul fraseggio. L’abbiamo trovata eccessiva nei movimenti, artificiale. Pareva voler fare troppo. Infatti l’abbiamo apprezzata nel III atto dove ha potuto esprimere la propria naturale drammaticità. Buona la performance di Mauro Secci nei panni di Alfredo Germont. Voce chiara e potente. Buono il fraseggio, ma manca ancora di un totale controllo del suo strumento. Siamo certi che con un potenziamento tecnico e con l’esperienza sul campo riuscirà a ottenere grandi risultati in termini di agilità e volume.
Per quanto riguarda i comprimari, dignitose le prove di tutti, eccetto quella di Giacomo Leone (Gastone) assolutamente non in serata. Scoordinato vocalmente e scenicamente. Da rilevare la performance di Luca Vianello (Barone Douphol), dalla vocalità profonda; quella di Giuseppe Zema (Dottor Grenvil), dotato di una voce pastosa e di un buon fraseggio; e quella di Ermes Nizzardo (Giuseppe) dalla voce ben proiettata che ha sostenuto nel secondo atto, durante la festa a casa di Flora il collega Leone. Completano il cast Luisa Bertoli (Annina) ed Elena Caccamo (Flora Bervoix) che hanno ben reso il proprio personaggio, e Filippo Rotondo nei panni del Marchese D’Obigny.
Nel complesso quindi un bello spettacolo, forse partito un po’ come un diesel che ha raggiunto il proprio apice artistico nell’ultimo atto, intenso e veramente ben costruito. Ma vogliamo dire ad Alfredo che non può salire sul letto di Violetta morente con le scarpe… o lo sussurriamo all’orecchio al regista?
Annunziato Gentiluomo
[Foto di Alessandro Arnone]
Leave a Comment
Your email address will not be published. Required fields are marked with *