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Antonio Toma… l’arte per mettere ordine al suo disordine mentale

Antonio Toma… l’arte per mettere ordine al suo disordine mentale

Oggi i riflettori si accendono su Antonio Toma, artista contemporaneo originario del Vercellese, ma con un percorso che tocca città come Atene, New York, Venezia, Parigi, Roma, Tokyo…La sua storia artistica comincia dalla scultura, con un approccio fisico, diretto, quasi istintivo. Ha iniziato modellando e scolpendo come se stesse cercando un linguaggio che esistesse prima

Oggi i riflettori si accendono su Antonio Toma, artista contemporaneo originario del Vercellese, ma con un percorso che tocca città come Atene, New York, Venezia, Parigi, Roma, Tokyo…
La sua storia artistica comincia dalla scultura, con un approccio fisico, diretto, quasi istintivo. Ha iniziato modellando e scolpendo come se stesse cercando un linguaggio che esistesse prima delle parole. Solo dopo è arrivata la pittura, e poi le installazioni, come naturale evoluzione di un dialogo con lo spazio e con la materia. Le sue opere sono state esposte in diverse realtà tra gallerie indipendenti e istituzioni, e attualmente sono in permanenza presso Accorsi Arte a Venezia. Nel 2020, in pieno lockdown, è arrivato inaspettato il titolo di Cavaliere Equestre Pontificio di San Gregorio Magno: un riconoscimento che ha vissuto come una conferma interiore in un momento in cui il mondo sembrava fermo, ma dentro di Antonio Toma la ricerca era più viva che mai.

Come è iniziato il Suo percorso artistico?
È iniziato come un’urgenza. Non una scelta razionale, ma una necessità fisica. Mi sentivo chiamato a dare forma a qualcosa che avevo dentro e che non riusciva a uscire con le parole… L’arte è l’unica cosa al mondo in grado di mettere ordine nel mio immenso disordine mentale.

Nella Sua formazione artistica, c’è qualcuno a cui è riconoscente?
Sì, ma non per avermi insegnato una tecnica. Sono riconoscente a chi mi ha fatto dubitare, a chi ha smontato le certezze, e a chi mi ha spinto a cercare un linguaggio personale. L’arte non si insegna, si attraversa. E ogni confronto autentico lascia un segno.

Scultura o pittura: cosa cambia tra i due linguaggi?
La scultura per me è gesto, presenza, corpo. È il dialogo con la materia che resiste, che ti obbliga a un confronto fisico e totale. Richiede lentezza e ascolto. La pittura, invece, è un luogo mentale, più immediato, spesso più intimo. Con la scultura affronto il mondo. Con la pittura lo rifletto. Sono due poli della stessa urgenza espressiva.

Per Billy Elliot danzare era elettricità. E per Lei, Antonio, scolpire e dipingere cos’è?
È resistenza. Sopravvivenza. È l’unico luogo dove posso dire tutto, senza filtri né permessi. A volte è silenzio, a volte tempesta. Ma è sempre necessario.

Si sono date mille definizioni di arte. La Sua qual è?
L’arte è il tentativo umano di trattenere l’invisibile. Di dare forma a ciò che non si può dire, ma ci brucia dentro. È una soglia tra il reale e l’intangibile. Un ponte tra ciò che sappiamo e ciò che intuiamo. È visione, ma anche corpo. Memoria, ma anche ferita aperta. Se non muove qualcosa, non è arte.

A quale arte si sente vicino?
A quella che non ti chiede il permesso. Che ti spiazza, ti inquieta, ti lascia qualcosa addosso. L’arte che non consola, ma rivela. Non quella che piace, ma quella che serve.

Quanto conta la spiritualità nella Sua arte?
È il mio asse. Non in modo religioso, ma radicale. Ogni opera per me è un dialogo con qualcosa che mi supera. Un tentativo di tenere insieme l’umano e l’invisibile. Una forma di ascolto.

Il mondo dell’arte, oltre ad essere espressione del proprio sé e delle proprie intuizioni col Divino, è materia, non solo per i materiali con cui si realizzano i prodotti, ma soprattutto per il giro di denaro che vi è dietro. Infatti è poi il mercato che stabilisce il valore di un’opera e decreta il livello di un artista. Quindi l’arte per l’arte non esiste più? Ci sono dei correttivi in merito a questa situazione che forse non lascia libero l’artista e lo condiziona nel rispondere a certe logiche?
Esiste, ma resiste. Il mercato oggi è più simile a una giungla che a un sistema culturale. Premia chi si adatta, chi si posiziona, chi sa vendersi. Non sempre chi crea davvero. E spesso chi crea davvero, è fuori dai circuiti che contano.
L’arte è diventata merce, il linguaggio si è politicizzato, e la visibilità si misura in algoritmo. O ti allinei, o resti invisibile. A quel punto la libertà non è più solo una scelta poetica, ma un atto radicale. Io continuo a credere che l’opera debba restare un luogo sacro, non un contenuto da ottimizzare. Serve il mercato? Sì. Ma senza piegarsi. Serve visibilità? Sì. Ma senza svendersi. C’è un equilibrio possibile, ma è scomodo, instabile e spesso solitario. Però è lì, ed è l’unico punto dove l’arte torna ad essere necessaria.

Come avviene il contatto con i galleristi e le collettive?
A volte bussano. Altre volte sfondi la porta. Ma se il tuo lavoro è onesto, prima o poi bussa la persona giusta. Serve ostinazione, e soprattutto direzione.

Prossimi impegni? Dove possiamo ammirare la Sua arte?
Dal 12 luglio al 12 settembre 2025 sarò in mostra permanente da Accorsi Arte a Venezia. Poi Montecarlo, Torino e un nuovo progetto che unisce scultura e paesaggio.

Per chi vuole seguire la ricerca di Antonio Toma, può fare attraverso il suo sito antoniotoma.it o il profilo Instagram: @antonio.toma.art. Per chi vuole contattarlo, può scrivergli ad antoniotoma@outlook.it.
Mi permetto di aggiungere una chiosa. L’arte non è mai solo un lavoro. È uno spazio in cui ci si perde per potersi ritrovare. Un atto quotidiano di fede e di rischio. E ogni opera, se è sincera, lascia sempre una crepa da cui entra la luce.

Annunziato Gentiluomo

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