Ieri una prima che ha fatto storia per il Teatro Regio di Parma. L’Andrea Chénier di Umberto Giordano ha mandato in visibilio il pubblico in sala che ha sostenuto i solisti in modo accorato, richiedendo a ciascuno dei tre protagonisti un bis. Non ci soffermiamo troppo sulla regia di Nicola Berloffa che è stata una ripresa di quella già
Ieri una prima che ha fatto storia per il Teatro Regio di Parma. L’Andrea Chénier di Umberto Giordano ha mandato in visibilio il pubblico in sala che ha sostenuto i solisti in modo accorato, richiedendo a ciascuno dei tre protagonisti un bis.


Non ci soffermiamo troppo sulla regia di Nicola Berloffa che è stata una ripresa di quella già molto apprezzata di Florence Bass. Impianto tradizionale per la storia del poeta francese, vittima della Rivoluzione francese, sempre fedele e aderente al libretto, con scene eleganti e funzionali firmate da Justin Arienti, in cui spicca in modo ossessivo la ghigliottina, in ricordo della fine che facevano i nemici della rivoluzione, e con i magnifici costumi di Edoardo Russo. Curati gli spazi, ben gestite la masse e ben armonizzati i passaggi di scena, soprattutto quella del primo atto in cui avviene l’invasione del Castello di Coigny, col ben rappresentato assassinio, a colpi di lancia, della contessa, e la sua trasformazione in un campo di rivoluzionari. Le luci di Valerio Tiberi, riprese da Simone Bovis, danno profondità e pennellano, in modo sapiente, i climax emotivi dell’opera, raggiungendo la propria massima espressione nel finale.


Certamente un cast stellare formato da Gregory Kunde, Luca Salsi e Saioa Hernandez, che ha fatto tremare il teatro, ma, a nostro avviso, il grande protagonista della serata è stato Francesco Lanzillotta che ha diretto, in modo magistrale, l’Orchestra Filarmonica Italiana. Abbiamo avuto la possibilità di osservare ogni suo movimento: la plasticità del moto della bacchetta e della mano esprimeva un’energia direttiva impressionante. Gli orchestrali, in un sottile gioco motivazionale, sono stati spronati a dare il meglio di loro, dando vita a un suono coeso, rotondo, dove i guizzi delle prime parti divenivano camei di assoluta bellezza. Dinamica e appassionata è stata la lettura del maestro romano delle pagine di Giordano, ricche di brani memorabili, tutte accarezzate con precisione e partecipazione. Ha colpito, infine, l’attenzione manicale al rapporto tra buca e solisti: è stato evidente come questi ultimi si siano sentiti accompagnati e abbiano potuto esprimersi al meglio.


Ottima anche la prova del Coro del Teatro Regio di Parma, istruito da Martino Faggiani, che ha dimostrato compattezza, presenza e precisione, distinguendosi in tutti i suoi interventi e regalandoci un appassionato O pastorelle, addio.


Passando ad analizzare i solisti, per ordine di apparizione, iniziamo dal baritono Luca Salsi che ha tratteggiato con grande personalità il complesso ruolo di Carlo Gérard. Dotato di una canna potente, di una rotondità e pienezza vocale, di un fraseggio perfetto, di una solida tecnica e di una conoscenza approfondita del ruolo, Salsi si muove con naturalezza sulla partitura impervia di Giordano, offrendoci, fin dalle prime battute, un Gérard eroico, sintesi dei grandi ideali e della grande contraddizioni della Rivoluzione francese. Fin dalla romanza Son sessant’anni, o vecchio impone la propria idea del suo personaggio e il suo stile, derivante dalla vecchia scuola italiana, per poi raggiungere il grande climax, che gli è valso il bis, con Nemico della patria, in cui è emersa la propria generosità artistica. Tralasciamo il commento dal loggione – “era meglio Capuccilli” – di poco gusto e assolutamente impertinente a cui il baritono ha risposto con grande intelligenza.


Gregory Kunde veste con estrema efficacia e convinzione i panni di Andrea Chénier. All’alba dei suoi settantuno anni, mantiene un controllo vocale impressionante, muovendosi agilmente in tutta la partitura, con voce pastosa nei centri e uno squillo argenteo e ben timbrato. Scenicamente è sempre pertinente e puntuale appare il suo disegnare la grande vittima del dramma che, nella partecipata aria Sì, fui soldato, celebra pubblicamente la propria auto-difesa. La sua voce si amalgama armoniosa anche nei due duetti col soprano Ecco l’altare e Vicino a te s’acqueta. Gli vale il bis la sua intensa interpretazione di Come un bel dì di maggio.


Notevole è stata l’interpretazione di Saioa Hernandez che ripercorre con grande gusto il personaggio di Maddalena di Coigny. Attento, elegante, sempre molto preciso il suo muoversi nella partitura del proprio personaggio, dando mostra della sua preziosa lama e dalla sua valida presenza scenica. Una voce ben proiettata, un calibro imponente, un buon fraseggio e una tecnica solida le assicurano l’ottima resa del ruolo, stimolando la richiesta del bis de La mamma morta, di cui rende ogni minima sfumatura musicale e marca ogni singola parola pronunciata, emozionando i presenti.


Convincente l’interpretazione di Arlene Miatto Albeldas che ha reso, con estrema delicatezza, il personaggio di Bersi, distinguendosi per una vocalità luminosa e ben proiettata. Assolutamente nel ruolo Natalia Gavrilan che ha ben scandito tutti gli accenti e reso la personalità aristocratica e a tratti sprezzante de La Contessa di Coigny. Dinamico e, a tratti, effervescente il Mathieu di Matteo Mancini che si distingue tanto per la sua vocalità chiara quanto per la duttilità scenica: il suo recitar cantando colpisce. Precisa e sempre attenta alla scansione ritmica, tutt’altro che semplice, la resa di Enrico Casari de Un Incredibile: una voce pastosa, un ottimo fraseggio e una solida tecnica gli consentono l’ottima riuscita del ruolo. Incantevole Manuela Custer che veste con estrema dolcezza e con assoluta partecipazione i panni di Madelon: il mezzosoprano incanta ed emoziona per i suoi filati, per la sua verve interpretativa, che commuove, e per la sua lama argentea. Non sempre ben proiettata la voce di Andrea Pellegrini anche se il suo Roucher scenicamente ha funzionato. Regolari ed efficaci sono apparsi Lorenzo Barbieri (Pietro Fléville / Fouquier Tinville), Anzor Pilia (L’Abate) ed Eugenio Maria Degiacomi (Schmidt / Il maestro di casa / Dumas).


Che dire dunque? Una conclusione a cinque stelle per la stagione d’opera del Regio di Parma. Un plauso a tutti e si è soddisfatti di quanto goduto!
Annunziato Gentiluomo
[Foto di scena (2025) ph Roberto Ricci]
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