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Non convince “La bohème” al Regio di Parma

Non convince “La bohème” al Regio di Parma

Ieri, sabato 12 aprile, la recita de La bohème di Giacomo Puccini al Teatro Regio di Parma ci ha lasciati quanto meno interdetti. Chiaramente eravamo consapevoli che fosse firmato dai vincitori del bando rivolto a team creativi under 35 per promuovere la professionalità e creatività di giovani artiste e artisti e stimolare un approccio progettuale

Ieri, sabato 12 aprile, la recita de La bohème di Giacomo Puccini al Teatro Regio di Parma ci ha lasciati quanto meno interdetti. Chiaramente eravamo consapevoli che fosse firmato dai vincitori del bando rivolto a team creativi under 35 per promuovere la professionalità e creatività di giovani artiste e artisti e stimolare un approccio progettuale che valorizzi temi di accessibilità e sostenibilità, ma lo abbiamo trovato debole su troppi fronti.

Buona l’idea della scatola che si monta e si smonta in scena, come se realmente si stesse difronte a un libro pop up per bambini, come anche interessante l’intuizione del personaggio anziano in scena, probabilmente Rodolfo in età avanzata che ripensa alla propria vita e soprattutto al magnifico incontro con Mimì, probabilmente uno spartiacque importante, un Rodolfo che racconta alterando, a suo modo, la scena. Ma ad un certo punto inizia, in particolare all’inizio del III quadro, a interagire con i personaggi, nascondendo o insediando Mimì nascosta e facendosi mettere le mani addosso da Marcello atto, sorprendendoci. Buona, nel complesso, la regia di Marialuisa Bafunno, che cura bene la gestione degli spazi, non dominando sempre i movimenti delle grande masse, soprattutto quelle del II quadro. La scelta dei costumi non ha convinto, in particolare le paillettes rosse di Musetta del II quadro, come il finale dello stesso quadro che rimanda a uno stile popolare, da musical, che, a nostro avviso, mal si confà all’opera lirica, e in particolare a una dramma corale come La bohème. La scenografa di Eleonora Peronetti avrebbe avuto bisogno di qualche elemento in più, ma abbiamo trovato ben riprodotto il sobborgo urbano, di periferia, del III riquadro: un interno popolare, poco curato, proprio da spaccio, in cui risulta molto azzeccato il doppio livello, funzionale alla scena che si conclude con un muoversi dei protagonisti, ricongiunti, dopo aver rimandato la loro separazione al tempo del risveglio della natura (Soli d’inverno è cosa da morire! Mentre a primavera c’è compagno il sol!) verso il rosso che presagisce il finale irreversibile. Forse l’accesso, attraverso la porta, posta in risalto a sinistra, a volte può essere apparsa scomoda, ma è poca cosa rispetto all’insegna luminosa mobile di Momus: comprendiamo l’essenzialità, ma non fino a tanto. Buona la gestione delle luci curate da Gianni Bertoli e non sempre a noi gradite sono risultate le coreografie di Emanuele Rosa che comunque è riuscito a far muovere a ritmo i solisti: non pareva un caffè parigino, ma una festa con balli di gruppo, capitana da Musetta. Rimangono a noi poco chiare il far nevicare all’interno della casa di Rodolfo nel quarto riquadro, il voler forzatamente collegare il secondo quadro col quadro, attraverso la figura di due camerieri omosessuali che si ritrovano avvinghiati sul divano del poeta e il fuoco che si accende alla fine: sarà quest’ultimo dovuto al nuovo libro che Rodolfo âgée decide di bruciare?

La parte migliore è stata quella strumentale. Riccardo Bisatti ha diretto con personalità, accarezzando con cura tutte le magnifiche pagine pucciniana, la Filarmonica di Parma e la Banda degli Allievi del Conservatorio Peri-Merulo che hanno ben risposto alla guida convincente del giovane direttore. Bisatti ha cercato di sostenere i cantanti con accelerazioni e con aumenti di volumi, cercando di valorizzarli. L’allestimento è risultato carente soprattutto nella parte solistica e non ha potuto su grandi performance del Coro di voci bianche del Teatro Regio di Parma, istruito da Massimo Fiocchi Malaspina. Nel complesso buona invece la prova del Coro del Teatro Regio di Parma, seguito da Martino Faggiani.

Passando ai solisti, è necessario un cappello introduttivo. La maggior parte non aveva la maturità professionale e dello strumento per affrontare un’opera così complessa, nella sua coralità e nei suoi passaggi di registro. Si distinguono solo Alessandro Luongo (Marcello), Roberto Lorenzi (Schaunard) e Eugenio Maria Degiacomi (Benoit, Alcindoro), sempre coerenti vocalmente e scenicamente.

Atalla Ayan ha cercato di fare il possibile per far onore al personaggio di Rodolfo, ma spesso gli acuti erano forzati e i “salti” di registro più impulsivi che non tecnicamente interiorizzati. Non sempre incisivo nella pagine corali, ha comunque dimostrato un buon fraseggio e uno strumento interessante.

Roberta Mantegna ha una voce luminosa e una bella musicalità, ma, a nostro avviso, ancora lontana dai filati e dai chiaro-scuri richiesti a Mimì. Infatti, è parsa acerba anche per sostenere la complessità emotiva del personaggio. Buono anche il suo fraseggio.

Maria Novella Malfatti non convince nei panni di Musetta. La sua sensualità è ostentata e la sua voce è angolata, priva di smalto e brillantezza. Anche la celeberrima romanza Quando men vo passa quasi inosservata e priva di pathos appare la preghiera Madonna benedetta.

Il Marcello di Alessandro Luongo è risultato sempre pertinente e strutturato. Una vocalità robusta e rotonda, una lama argentea, una valida tecnica, un ottimo fraseggio e un’evidente personalità scenica gli consentono di risolvere in modo impeccabile il proprio ruolo, donando al pubblico tutte i colori emotivi e vocali del proprio personaggio. Un pilastro per l’allestimento.

Roberto Lorenzi rende bene il suo Schaunard pennellando con eleganza tutte le sfumature del suo personaggio. Vocalmente e scenicamente ben strutturato, ha una voce piena e ben proiettata, assolutamente idonea per la parte. Valida la sua tecnica, ottimo il suo fraseggio e caratteristica la sua mimica facciale.

Aleksei Kulagin non riesce a rendere la profondità intellettuale e vocale Colline. La sua Vecchia Zimarra non è capace di creare quell’atmosfera speciale, quel climax emozionale che le è propria, risultando di poca intensità e monocorde.

Eugenio Maria Degiacomi veste i panni di Benoit e Alcindoro con estrema naturalezza, personalizzando entrambi con gusto. Una vocalità ben proiettata la sua, una lama luminosa, una buona tecnica e soprattutto una grande espressività

Regolari i contributi di Francesco Congiu (Parpignol), Angelo Lodetti (Sergente dei doganieri), Matteo Mazzoli (Doganiere) e Matteo Nonni (Venditore ambulante).

Annunziato Gentiluomo

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