Una notevole inaugurazione della Stagione d’Opera e di Balletto 2025/26 del Teatro Regio di Torino con un titolo particolare, Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai, un titolo creato proprio per il Regio e andato in scena il 18 febbraio del 1914, che vi ritorna in un allestimento firmato da Andrea Bernard e con un cast impressionante, risultando una scommessa vincente del
Una notevole inaugurazione della Stagione d’Opera e di Balletto 2025/26 del Teatro Regio di Torino con un titolo particolare, Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai, un titolo creato proprio per il Regio e andato in scena il 18 febbraio del 1914, che vi ritorna in un allestimento firmato da Andrea Bernard e con un cast impressionante, risultando una scommessa vincente del Direttore musicale del Teatro Andrea Battistoni.


Immediatamente è evidente la maniacale caratterizzazione dei personaggi curata da Andrea Bernard: soprattutto Francesca appare tutt’altro che vittima, ma donna consapevole dei suoi sentimenti e della necessità della propria affermazione personale. Il regista arriva a osannarla come voce di chi osa affermare se stesso contro un mondo che vorrebbe soffocarlo, restituendole universalità e assoluta contemporaneità. Non comprendiamo completamente la scelta di puntare sulla stanza della protagonista, come se fosse crocevia e sfondo di tutto quanto occorre nel dramma, in quanto, a volte, ai nostri occhi tale status quo è risultato confusivo. Suggestivo l’escamotage di ricorrere ad alter ego sia nel passato della protagonista – il suo lei bambina che gioca con quello della sorella -, piuttosto che Lancillotto e Ginevra che mimano, nello sfondo, quanto Paolo e Francesca vivono nel presente. Ciò dà un tocco di onirico e di continuità, come se la storia esistesse da molto più lontano, al pari del ricorso al tulle che sfumala visione e all’apertura del palco in fondo, elementi entrambi di dinamismo ed estensione. Interessante il puntare sui simbolismi, tra cui spicca, come super presente il fuoco presenta durante la fine della battaglia, nella stufa che scalda, nella candela del momento rituale di Smaragdi, postumo alla spietata morte del prigioniero per mano di Malatestino: il fuoco è trasformazione, è passione, ma è anche conclusione giacché il suo bruciare incenerisce come poi succederà ai due amanti.

Non convince fino in fondo il prato realizzato come “non luogo di passaggio” di libertà: troppo pieno rispetto a pochi oggetti scenici presenti, tra cui due sedie di legno di spalle a sinistra del palco, simile a quelle delle vecchie sale cinematografiche, sedie che paiono rappresentare l’invito del regista al pubblico di prendere parte al dramma, a seguirlo ancora più da vicino. Molto ben curati i movimenti del palco, soprattutto il siparietto con i musici e i magnifici danzatori che hanno incarnato l’esplosione della primavera in una coreografia leggiadramente sinuosa, firmata da Marta Negrini. Chirurgici invece gli scambi tra i protagonisti: Bernard in tal senso non lascia nulla al caso. Nonostante il senso di spoglio e vuoto che, a volte lo spettatore vive, per le minime scene presenti, curate da Alberto Beltrame, la corporeità dei protagonisti arriva a espandersi quasi a coprire tutto l’enorme palcoscenico del teatro: intenso è il confronto tra Francesca e Malatestino, e quello tra quest’ultimo e il fratello Giovanni, nella stanza da pranzo. Magnifici i costumi di Elena Beccaro, la cui scelta e i cui colori mutano seguendo l’evoluzione della storia e dei personaggi, e buone anche le luci di Marco Alba che arricchiscono in qualche modo la scena, dando profondità e focalizzando l’occhio sulla volontà del regista.

L’indiscusso protagonista della recita, nonostante, come si leggerà, il cast è stato strepitoso, è stato Andrea Battistoni, che debuttava il titolo. Una direzione più che superba lo converte nel deus ex-machina di tutto. Appassionata, partecipata, carismatica: una lettura sublime di un’opera visionaria, sospesa tra raffinatezza orchestrale e dramma interiore, figlia di una stagione fertile e cosmopolita dell’opera italiana dei primi anni del Novecento opera tutt’altro che semplice.

Battistoni, ha saputo valorizzare le parti solistiche dei suoi grandi orchestrali e ha curato, in modo magistrale, il rapporto fra buca e cantanti, sostenendo al meglio questi ultimi. I movimenti della sua bacchetta hanno ipnotizzato lo sguardo di chi su di lui si soffermava, in una partecipazione totale al dramma, capace di restituire in modo completamente opportuno dolcezza melodica e forza drammatica, preziosità timbriche e sensibilità poetica.
Sempre opportuno e compatto nei suoi interventi risulta il Coro del Regio di Torino istruito dal maestro Ulisse Trabacchin, valido apporto alla bellezza dell’allestimento.

Barno Ismatullaeva è stata una Francesca superlativa, incarnando scenicamente e vocalmente tutte le sfumature dell’eroina. Una linea melodica che ha rasentato la perfezione, un’imponente agilità e una validissima tecnica le consentono di muoversi attraverso la complessa partitura con leggiadria, curando i centri, le mezze voci e raggiungendo con dei climax evidenti gli acuti. Eccellente la resa di tutte le sue arie e tra cui si cita Paolo, datemi pace! in cui il soprano esprime il suo tormento d’amore.

Roberto Alagna è un brillante Paolo, scenicamente validissimo, che impressiona per la perfezione della sua linea di canto totalmente naturale, per una vocalità limpida che trascende l’età anagrafica dell’artista e per una tecnica e un trasporto che hanno obbligato sguardo dei presenti a seguirlo in modo certosino. La sua voce adamantina, la bellezza del suo timbro e la grazia del suo fraseggio raggiungono il proprio climax ne Inghirlandata di violette m’appariste ieri, un vero e proprio capolavoro di seduzione, sensualità ed eleganza.

Vocalmente pieno, vigoroso e sempre puntale il Gianciotto di George Gagnidze, che tratteggia in modo signorile il suo personaggio. La sua brutalità e la sua miseria si manifestano in modo più settile, attraverso una postura asciutta e movimenti non sempre fluidi. Non mancano in lui esteriorizzazioni emotivamente intense, soprattutto alla scoperta del tradimento della moglie per mano del fratello. La sua prova è sicuramente convincente dunque e la sua vocalità è pastosa e ben proiettata.

Eccezionale l’interpretazione di Matteo Mezzaro nei panni di Malatestino. Il tenore, dallo squillo fine e dalla lama argentea e chiara, risolve il suo personaggio con grande maestria, sfoggiando una verve scenica impressionante, un’espressività corporea notevole e una tecnica e un fraseggio di grande levatura.
Valida e perfettamente nel ruolo Valentina Boi che veste con cura il ruolo di Samaritana, distinguendosi per una piacevole vocalità che ben si armonizza con quella del soprano.
Molto interessante anche Devid Cecconi che interpreta con determinazione e forza il ruolo di Ostasio, senza mai eccedere, ma proiettando una bella vocalità pastosa.

Ben armonizzate, poetiche e sempre nella parte Valentina Mastrangelo (Biancofiore), Albina Tonkikh (Garsenda), Martina Myskohlid (Altichiara) e Sofia Koberidze (Donella): si muovono garbatamente e con leggiadria in scena, puntando, con grande precisione e con opportuno colore, ogni loro intervento.
Notevole la performance di Silvia Beltrami che veste, con cura, i panni della devota Smaragdi, evidenziando una vocalità profonda e piena, e muovendosi agilmente nel proprio registro.
Di impatto, in particolare scenicamente, il giullare di Janusz Nosek che ben si relaziona con le ancelle amiche di Francesca, facendo sfoggio di una voce ben proiettata.
Regolari e sempre nella parte Enzo Peroni (Ser Toldo), Daniel Umbelino (Il balestriere) ed Eduardo Martínez (Il torrigiano), che rappresentano comunque un opportuno contributo all’allestimento tutto.


In sintesi un’intensa e liricamente vibrante versione di Francesca da Rimini, capace di emozionare e di sorprendere, nonostante la difficoltà dell’ascolto, molto lontano dal belcanto che seguiamo normalmente. Assolutamente da non perdere e da riascoltare più e più volte, restituendone il prestigio che merita, in onore della sua bellezza e di un libretto che rievoca la finezza di Gabriele D’Annunzio! Un capolavoro da scoprire e da accogliere!



Annunziato Gentiluomo

















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