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Il Metodo Suzuki, spiegato dal Maestro Antonio Mosca

Il Metodo Suzuki, spiegato dal Maestro Antonio Mosca

Vi abbiamo già parlato in più occasioni dell’Accademia Suzuki Talent Center di Torino, scuola di musica unica nel suo genere, che vanta l’orchestra più giovane d’Europa, sempre attiva anche in iniziative benefiche come la più recente “3 orchestre 1 sogno“, della quale già si sono svolti primi due concerti. L’Accademia si avvale per l’insegnamento musicale

08Vi abbiamo già parlato in più occasioni dell’Accademia Suzuki Talent Center di Torino, scuola di musica unica nel suo genere, che vanta l’orchestra più giovane d’Europa, sempre attiva anche in iniziative benefiche come la più recente “3 orchestre 1 sogno“, della quale già si sono svolti primi due concerti. L’Accademia si avvale per l’insegnamento musicale di un metodo particolare, il Metodo Suzuki appunto, di cui vi parleremo oggi.

Sul sito dell’Accademia è disponibile una presentazione molto bella e accurata, che fa ben capire come sia nato e su quali basi poggi il metodo, per questo motivo la riportiamo qui integralmente:
Il maestro giapponese Shinichi Suzuki, a cui si deve l’elaborazione del metodo che porta il suo nome, era una persona molto curiosa e intelligente. Non si accontentava di studiare la musica tradizionale del suo Paese, voleva confrontare il proprio sapere con quello degli europei. Si stabilì in Europa per diversi anni per imparare i dettami della musica barocca e si avvicinò allo studio di un metodo che permettesse ai più piccoli di entrare in contatto con la musica in modo dolce e delicato. Rivoluzionò i canoni classici di apprendimento con una teoria che all’apparenza non aveva alcun fondamento logico: “Dobbiamo insegnare ai bambini a suonare nello stesso modo in cui si insegna loro la lingua madre”. Che significa, nella pratica, non imporre alcun vincolo teorico ai piccoli musicisti, che devono solo imparare a riprodurre un suono che ascoltano. Un suono facile, poche note, ma fatto bene, come riescono, come possono, poco alla volta, senza forzature. Il metodo Suzuki, attraverso l’insegnamento della musica e lo studio di uno strumento, coinvolge in prima linea la famiglia. Il triangolo insegnante-genitore-bambino costituisce un nucleo virtuoso che diventa veicolo di cultura. La musica che entra nella famiglia, ma soprattutto nel cuore di ogni bambino, ne sviluppa il carattere, le qualità ritmiche e coordinative, la memoria, la capacità di organizzarsi e di pianificare lo studio. Partecipando all’attività orchestrale il bambino vive un’esperienza di “comunità della musica”, i cui valori formeranno la sua personalità.

Lee e Antonio MoscaAbbiamo incontrato a inizio giugno il Maestro Antonio Mosca, che per primo portò in Italia questo metodo di insegnamento. Lo abbiamo incontrato a Cascinette d’Ivrea, suo paese di origine e sede del Centro Musicale Suzuki del Canavese. In precedenza vi era la scuola di musica intitolata a Aldo Canzano, di cui Antonio fu allievo a sua volta.
Potere iniziare a suonare e imparare la musica dal Maestro Canzano gli diede l’opportunità di farsi notare niente meno che da Adriano Olivetti, il quale offrì ad Antonio, ancora giovanissimo, una borsa di studio per proseguire la sua formazione al Collegio di Musica di Santa Cecilia a Roma.
A Zurigo, dove venne assunto nel 1964 come violoncello all’Orchestra da Camera, Antonio Mosca conobbe Lee Robert, violinista, che due anni dopo divenne sua moglie e anche sua compagna nel percorso che avrebbe poi portato alla nascita dell’Accademia Suzuki.
Il nostro percorso – ci ha raccontato il Maestro Mosca – nasce da una visione molto d’avanguardia ai nostri tempi, ma Antonio Moscaanche rispetto ai giorni nostri, perché la musica nel nostro Paese non è progredita molto, soprattutto per quanto riguarda la didattica. Vi era la convinzione che la muisca si dovesse studiare da grandi, o comunque per diletto.
Invece la musica è educazione della persona, dell’orecchio, della disciplina, del gusto, della cognizione dei suoni, del ritmo, tante cose che possono già iniziare all’età di cinque anni. Prima i bambini apprendono a parlare la propria lingua, poi subito dopo, cioè all’età di circa quattro anni, si può cominciare con un altro linguaggio – quello della musica – che segue la parola“.
Il percorso  di apprendimento è analogo, vi è prima l’ascolto, poi la ripetizione, e solo successivamente lo studio. D’altra parte, ci ricorda ancora Mosca “L’ottanta per cento del mondo intorno a noi è musica“.
E prosegue: “Volevamo portare anche in Italia il messaggio del Maestro Suzuki, che nel resto del mondo aveva già avuto uno spazio importante, in America soprattutto“.
archi diretti da Antonio MoscaRicorda ancora Mosca: “Questo nostro percorso in realtà nasce proprio dagli amici di mio padre, gli amici della catena di montaggio della Olivetti. Essendo figlio di un ‘olivettiano’ andavo ai campeggi, alle cosiddette colonie. A Champoluc un giorno è arrivato l’Ingegnere (Adriano Olivetti, nda), ed è capitato che mi abbia sentito suonare la fisarmonica. Lui era una persona aperta, innovativa, voleva fare qualcosa per la sua regione e per il suo Canavese, che a quel tempo era molto povero, anche dal punto di vista culturale…” e da lì la scintilla che ha dato la possibilità ad Antonio di diventare il Maestro Mosca.
Ci racconta ancora: “La prima fase della Scuola è stata molto sperimentale e ha avuto poco seguito, se non sostanzialmente quello dei nostri tre figli. Poi siamo cresciuti anche noi, abbiamo continuato la nostra formazione, Due età, stesso cuorecoscienza, disciplina, capacità, abbiamo preso ancora molte lezioni dal Maestro Suzuki, non solo in Giappone ma anche qui in Europa dove lui veniva a fare stage e conferenze.
Erano tempi in cui la gente non aveva paura di chiamarti, in quei primi anni siamo stati invitati a moltissime trasmissioni televisive. Faceva impressione vedere bambini così piccoli suonare insieme. La nostra era sicuramente l’unica orchestra europea da camera composta da bambini così piccoli, per questo abbiamo girato il mondo”.
Come vi abbiamo già raccontato, una peculiarità dell’Orchestra dell’Accademia Suzuki è quella di sposare iniziative benefiche. Sipega Antonio: “Noi siamo legati all’ILO, International Labour Organization, perchè con la musica vogliamo coinvolgere il pubblico a pensare che ci sono tanti Suzukibambini che lavorano, sfruttati, che non mangiano e non vanno a scuola. Questo è il nostro spirito, che è anche educativo per i bambini, che capiscono che il loro scopo non è tanto suonare per il pubblico, ma pensare che nel mondo vi siano condizioni diverse dalla loro di cui è importante prendere cosicenza. Noi siamo firmatari di un agreement con ILO in virtù del quale ci impegnamo a fare i concerti per sensibilizzare a questa tematica“. Oltre alle collaborazioni con ILO, ricordiamo anche quella con NutriAid Italia, di cui anche noi vi abbiamo parlato, e poi progetti futuri insieme a Unicef.
Scriveva Shinichi Suzuki: “Le corde non hanno anima, esse vivono attraverso quella di chi le fa vibrare”.
E l’anima che vive e si rinnova nell’Accademia Suzuki è sicuramente un’anima aperta, che davvero non vuole conoscere confini e barriere di alcun tipo, nello spirito di innovazione che ha dato l’impulso originario e ne ha supportato la crescita fino ai giorni nostri.

Chiara Trompetto

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