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La complessità della coscienza

La complessità della coscienza

C’è un passo dei Pensieri di Pascal che ritorna spesso tra le citazioni di Edgar Morin: “Dunque, poiché tutte le cose sono causate e causanti, aiutate e adiuvanti, mediate e immediate, e tutte sono legate da un vincolo naturale e insensibile che unisce le più lontane e le più disparate, ritengo che sia impossibile conoscere

stati_di_coscienza_onde_cerebrali_06gC’è un passo dei Pensieri di Pascal che ritorna spesso tra le citazioni di Edgar Morin: “Dunque, poiché tutte le cose sono causate e causanti, aiutate e adiuvanti, mediate e immediate, e tutte sono legate da un vincolo naturale e insensibile che unisce le più lontane e le più disparate, ritengo che sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto, così come è impossibile conoscere il tutto senza conoscere particolarmente le parti” (Pascal B., Pensieri, Frammento n. 72). Non è ovviamente un caso che questo frammento ritorni spesso nelle riflessioni di questo grande filosofo. Quasi 400 anni or sono, Pascal aveva già espresso in modo esemplare uno dei punti cardini del pensiero della complessità. Lo sforzo di Morin è sempre stato, infatti, quello di mostrare come la scienza dominante, quella che affonda le sue radici nelle teorie di Cartesio e Newton, si erga su una mitologia celata che volendo possiamo chiamare il paradigma della semplicità, ovvero l’idea che si possa trovare un ordine stabile nell’universo. Si tratta di un vero e proprio atteggiamento volto all’iper-semplificazione che rischia di essere deleterio in quanto ci impedisce di vedere la complessità del reale.
La coscienza è senza dubbio uno dei fenomeni più complessi e misteriosi che la scienza cerca oggi di studiare. Se si vuole avere una piccola dimostrazione della complessità della coscienza è sufficiente notare la quantità di discipline che nel corso del Novecento hanno tentato di dare una spiegazione soddisfacente della sua natura. E passano a tal fine in rassegna psicologia, neurobiologia, scienze cognitive, filosofia della mente. Ognuna di queste fornisce poi una definizione propria e, di conseguenza, una spiegazione diversa, della coscienza. La sua peculiarità sta nel fatto che questa non si presenta come un oggetto osservabile, ma piuttosto come un flusso interiore continuo, senza inizio né fine, di sensazioni, percezioni, emozioni, pensieri, ecc.
Esistono comunque due caratteristiche qualificanti che non possono essere negate, né ignorate, da ogni disciplina che voglia impegnarsi in uno studio serio della coscienza: l’unitarietà e la soggettività.
Le varie modalità sensoriali, le nostre percezioni e le emozioni si fondono in maniera costante in’unica esperienza cosciente. La nostra percezione risulta sempre un tutt’uno non solo quando stiamo facendo esperienza di una certa situazione, ma anche quando semplicemente la ricordiamo. La coscienza si presenta sempre come un tutto unificato, non c’è mai frammentazione. La suddivisione e l’isolamento dei vari stati di coscienza per l’analisi scientifica avviene sempre in un secondo momento; ed è poi proprio questo processo che piega la complessità della coscienza alle modalità semplificatorie tipiche del metodo scientifico. Per questo il pensiero di Morin diventa particolarmente interessante nello studio di questo fenomeno, perché ci impone perlomeno di impegnarci in una riflessione sulla validità di un metodo che sembra non riuscire a render giustizia alla complessità del fenomeno in questione.
Il secondo aspetto, la soggettività dei fenomeni coscienti, è altrettanto problematico per uno studio della coscienza secondo il metodo scientifico. L’indagine scientifica procede generalmente passando per due punti fondamentali: in un primo momento avviene l’osservazione dei fenomeni e poi vengono formulate ipotesi teoriche che possano spiegare i fenomeni in questione. Si passa quindi da una prospettiva soggettiva e privata, il momento in cui è esperito il fenomeno, a una prospettiva oggettiva e condivisibile. Nel caso della coscienza sembra che il passaggio dai fenomeni mentali alla spiegazione oggettiva comporti evidenti difficolta. Si consideri, per esempio, la nostra vita interiore. Questa è costituita da fenomeni soggettivi (emozioni, stati d’animo, percezioni soggettive dei colori, dei sapori, dei suoni, degli odori, sentimenti complessi, ecc.) che difficilmente si piegano alla rigidità oggettivante dello studio scientifico. La difficoltà sta proprio nel passaggio dalla prospettiva soggettiva a quella oggettiva, perché nel momento in cui uno di questi fenomeni viene privato delle proprietà soggettive sembra venire immediatamente snaturato.
Nel caso della coscienza sembra dunque che non ci si trovi di fronte a un problema risolvibile attraverso uno sviluppo delle ricerche scientifiche, bensì mediante la rielaborazione e l’evoluzione di un metodo, quello scientifico, che sembra ancora essere poco adatto alla complessità di questo fenomeno.
Michele Zese

[Fonte dell’immagine: www.mahadevaevoluzione.it]

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