Zanzibar è un’isola africana al largo della Tanzania di cui fa parte. Negli ultimi anni è diventata meta molto apprezzata dal turismo internazionale e italiano per soggiorni balneari in pieno relax. Meno di dieci ore di volo dall’Italia per raggiungere il suo mare cristallino con fondali mozzafiato e le bellissime spiagge bianche. Ma un tempo
Zanzibar è un’isola africana al largo della Tanzania di cui fa parte. Negli ultimi anni è diventata meta molto apprezzata dal turismo internazionale e italiano per soggiorni balneari in pieno relax.
Meno di dieci ore di volo dall’Italia per raggiungere il suo mare cristallino con fondali mozzafiato e le bellissime spiagge bianche. Ma un tempo non così lontano su quelle bellissime spiagge bianche della costa ovest, sbarcavano esseri umani dalla pelle nera completamente privati da altri esseri umani di ogni dignità umana. Sbarcavano… in realtà venivano fatti scendere a forza dalle barche ad alcune decine di metri dalla riva e non tutti sapevano nuotare, non tutti avevano la forza di farlo e annegavano. Chi riusciva a raggiungere la riva era… No! Non era già più salvo da quando dall’entroterra africano lui e altre centinaia di uomini, donne e bambini erano costretti a camminare per giorni e giorni carichi a volte di zanne d’avorio, l’altra merce fortemente richiesta all’epoca. Schiavi e avorio. Era una marcia lunga, estenuante, il primo cedimento per i più deboli che venivano abbandonati o uccisi. Raggiunta la riva venivano imbarcati e stipati sui dhows, le tipiche imbarcazioni che oggi vengono utilizzate per esotiche escursioni turistiche. Le epidemie iniziavano a diffondersi e gli infetti gettati a mare. Arrivati a Zanzibar, incatenati al collo e alle caviglie le file di schiavi venivano portati nelle case dei mercanti, non in casa ma sotto, in cantina, stipati come topi coi topi, separati gli uomini dalle donne, i genitori dai figli. Il caldo soffocante e la completa mancanza di igiene facevano ancora una volta una selezione dei più forti. Il giorno di “mercato” gli schiavi venivano trascinati fuori, i loro corpi unti d’olio per farne risaltare la bellezza e disposti a file parallele. Davanti la “merce” migliore e dietro quella più vecchia e meno pregiata. Nessuna differenza con una zanna d’avorio. Venduti. 50.000 uomini all’anno venivano venduti come schiavi a Zanzibar. Non sto a dire chi fossero e di quale cultura i mercanti perché non credo sia importante come non lo è chi pose fine a questo traffico disumano. Cala il silenzio quando di fronte al monumento agli schiavi di Stone Town vengono raccontati questi fatti. Come se il peso della coscienza di tutti noi ci tappasse la bocca. Non esistano parole. “Ma io non c’ero” potrebbe dire qualcuno. Ma ora ci siamo tutti e consapevoli che purtroppo la storia sta insegnando poco e in modi diversi si ripete…
L’aria calda e pesante che si respira nelle strette stradine della città ricorda quella di Goré, in Senegal. Da quell’isola, dall’altra parte dell’Africa, gli schiavi partivano per oltre oceano.
Le bianche spiagge di Zanzibar sono veramente splendide e colpiscono chiunque vi trascorra una vacanza. Ne vale la pena, a chi piace, una vacanza balneare a Zanzibar con possibilità di crogiolarsi al sole, fare immersioni o escursioni all’interno dell’isola per visitare i villaggi e le piantagioni di spezie. Ora sono queste le merci di Zanzibar. Turisti e spezie.
Anche questo “per non dimenticare”.
Paolo Bono
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