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Una chiacchierata col regista Andrea Cigni

Una chiacchierata col regista Andrea Cigni

Andrea Cigni, regista d’opera, considerato tra le più interessanti giovani leve italiane, è anche direttore artistico del Festival Orizzonti di Chiusi (Siena), ed è docente di Arte Scenica, Storia del Teatro, Drammaturgia Musicale, Recitazione, Diritto Legislazione e Management dello Spettacolo, Tecniche della Comunicazione, presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali di Cremona Claudio Monteverdi. Dopo averlo

IMG-20141128-WA0014Andrea Cigni, regista d’opera, considerato tra le più interessanti giovani leve italiane, è anche direttore artistico del Festival Orizzonti di Chiusi (Siena), ed è docente di Arte Scenica, Storia del Teatro, Drammaturgia Musicale, Recitazione, Diritto Legislazione e Management dello Spettacolo, Tecniche della Comunicazione, presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali di Cremona Claudio Monteverdi.

Dopo averlo molto apprezzato per il Nabucco al Teatro Ponchielli di Cremona, aver parlato di lui a novembre, siamo riusciti a intervistarlo e con lui abbiamo approfondito temi inerenti alla regia, in particolare alla regia d’opera.

IMG-20141128-WA0015Cosa significa per te firmare la regia di uno spettacolo?
Firmare la regia di un’opera è un momento molto delicato. Si mettono in gioco molte energie, molte nuove idee, mi confronto con i collaboratori in modo serrato e spesso anche molto forte, ma soprattutto senti la responsabilità di dire e dare qualcosa di nuovo a migliaia di letture che sono state fatte di un testo o di un titolo stesso. È un procedimento che porta a quello ‘svuotamento malinconico’ che arriva dopo che, per mesi, hai concepito e partorito una idea e un ‘figlio’ artistico e questo poi cammina da solo, vivendo di vita propria. È mettere IMG-20141128-WA0035molto di sé in un lavoro, esponendo te stesso al giudizio di altre persone ed è forse il momento più bello per un artista. La comunicazione che si instaura nel momento in cui un allestimento fa da tramite tra te e il mondo che ti circonda.

Quanto è importante nell’opera la sinergia tra il direttore d’orchestra e il regista?
È fondamentale. Buca d’orchestra e palcoscenico devono dialogare costantemente, devono confrontarsi, devono IMG-20141128-WA0029sostenersi, devono creare insieme un discorso artistico. Non esiste un allestimento senza un direttore d’orchestra che, al termine del lavoro del regista, non si faccia carico di prendere, nel bene o nel male, su di sé e nella sua bacchetta, la responsabilità anche di ciò che si vede. Il ritmo del lavoro di regia ed il suo funzionamento, dipendono anche dal ritmo e dalle capacità di un direttore. ovvio, poi ciascuno è responsabile in diversa misura del proprio percorso e del proprio lavoro, ma insieme si crea e insieme si porta a casa un progetto. IMG-20141128-WA0039Considerando che poi proprio nella fase di allestimento, dunque in poco tempo, si deve trovare quel feeling creativo che è alla base del rapporto regista/direttore.

Che peso hanno gli aspetti tecnici rispetto a quelli squisitamente artistici in una regia?
Un allestimento e un progetto di regia, devono tenere conto nel momento in cui si concepisce un’idea, di tutte le questioni IMG-20141128-WA0025tecniche e di fattibilità. Il voler fare deve andare di pari passo col poter fare. Il creare e l’inventare devono dialogare col realizzare. Ovvio, prima si parte da quello che si vorrebbe, poi in corso di progettazione tecnica con la collaborazione di scenografo, costumista, lighting designer, si modifica quanto pensato in virtù di condizioni di fattibilità e di realtà.

IMG-20141128-WA0018Quanto conta per un regista d’opera una buona cultura musicale, inclusa la capacità di leggere lo spartito?
Il talento non dipende dalla capacità di leggere la musica. ovvio, che una cultura musicale serve se vuoi fare teatro d’opera. La musica è l’impalcatura drammatica di un’opera, prima ancora del testo e delle altre componenti. per cui conoscere il funzionamento di questa impalcatura drammatica è il fulcro del lavoro. Non si può non conoscere il valore della musica IMG-20141128-WA0010nell’opera, conoscere il ‘perché’ esiste della musica che guida l’azione e la parola e come questa si faccia teatro. Sapere cosa è una pausa o la durata di una nota, il suo valore e anche sapere come si svolgono le dinamiche musicali e del canto, a mio giudizio, servono così tanto, specie per capire la direzione che si sta prendendo, che senza, è rischioso pensare di fare opera. Se non si conosce la musica e non la si rispetta, non si fa teatro d’opera o lo si fa in modo del tutto approssimativo ed estemporaneo. Lo dico perché chi ha composto un’opera non poteva non conoscere le dinamiche teatrali che sottintendono l’azione e la drammatica, non vedo perché nel mettere in scena un lavoro non si debba fare lo stesso con la musica.

IMG-20141128-WA0007Riconosci in qualche regista un tuo maestro o comunque un punto di riferimento per te?
Ho avuto la fortuna e il privilegio di affiancare, per vari motivi professionali, molti maestri, ai quali debbo parte della mia cultura teatrale. Averli osservati, aver capito e appreso mi ha permesso di formare un mio percorso creativo e artistico. Oggi non tutti i giovani registi hanno avuto questa fortuna, e hanno fatto questo percorso. Per cui mi ritengo molto fortunato. Tra i nomi  che affascinano il mio lavoro ci sono alcuni registi tutt’ora in carriera: Robert Carsen, con il genio e l’originalità dei suoi allestimenti, in testa per quelli stranieri e un’ammirazione per chi ha rappresentato molto nel panorama del teatro d’opera con la sua grande sensibilità, Pier Luigi Pizzi. Ma non dimentico il lavoro di Strehler, di Peter IMG-20141128-WA0002Brook e di altri che hanno segnato la storia del nostro teatro. Infine un affetto ‘artistico’ per Jerzy Grotowsky e il suo teatro povero.

Che indicazioni daresti a un giovane che sogna di diventare un regista teatrale in termini di formazione, cultura ed esperienza?
Prima di tutto la gavetta, l’assistentato e il lavoro in palcoscenico sotto ogni suo aspetto. la formazione nasce dal lavoro in palco, prima come aiuto dell’aiuto dell’aiuto, con l’osservazione, con l’umiltà, con il silenzio di chi sa ascoltare e carpire i segreti. Oggi non si può pensare di ‘arrivare’ e ‘fare’, magari grazie a qualche raccomandazione. Non ci credo a questi percorsi e a questi cerini. Si rischia di bruciare un percorso che potrebbe essere artistico ma che artistico non è. Lavorare alla creazione di una carriera artistica è un procedimento lento, delicato, difficile, che parte dalle basi del teatro, dalla IMG-20141128-WA0020polvere e dall’osservazione di come questa polvere si muove. Gettare buone basi permette di lavorare e crescere bene. È da come ti rifai il letto che capisci come dormirai. Inoltre è la determinazione che permettono a una persona di realizzarsi. Unita alla competenza, alla conoscenza, allo studio e anche, perché no, ad un po’ ‘fortuna’. Per cui il consiglio è: stare in teatro, anche a titolo gratuito, per capire ed entrare in punta di piedi in questo mondo; affiancare un maestro; studiare e impegnarsi nel lavoro di ricerca e di incremento del proprio livello culturale.

Parlando nabucco e cavallodel Nabucco a Cremona, come potresti sintetizzare questa esperienza?
Nabucco? Una scommessa fatta con me stesso, vinta. È un progetto nato per un teatro spagnolo nel quale non ho ravvisato le condizioni artistiche per poterlo realizzare. È rimasto nel cassetto per due anni. Poi è capitato di allestirlo ed è andata come sappiamo. Sono felice di averlo realizzato in Italia con questo richiamo e sono felice che la musica di Verdi sia stata rispettata.

Come si colloca rispetto alle altre?
Ogni allestimento vive un percorso proprio. Non riuscirei a collocarlo rispetto ad altri. Ma giunge a un punto personale di maturazione e di ricerca che non è quello di uno stile fine a se stesso, ma di comunicazione artistica e di ricerca che voglio portare avanti.

nabucco e abigaille okQuale intuizione registica o idea di base ha fatto da linea guida al tuo lavoro con l’opera di Verdi? Cosa hai detto di nuovo rispetto a un’opera così replicata e conosciuta? C’è qualche allestimento passato da cui hai tratto ispirazione? C’è stato qualche aneddoto della messa in scena che merita di essere raccontato?
La linea guida è rappresentata da tre parole: evocativo, simbolico, teatrale. L’idea base era quella di raccontare una IMG-20141128-WA0005storia con tutti i valori che un racconto drammatico porta in sé. Di nuovo c’era la mia cifra, il mio sentire, il mio vivere questa musica, che è diverso e originale rispetto ad altri registi o ad altre letture, proprio perché è mio. Le ispirazioni non arrivano da altri allestimenti, il copiare non mi interessa, ma giungono da sensazioni che la musica ti trasmette con l’obiettivo di fare teatro. Aneddoti su questo Nabucco? Si, il capo dei vigili del fuoco mi ha suggerito, da esperto, di sostituire l’effetto del fuoco reale alla fine del primo atto, con un effetto ‘ottico’ ‘formidabile’ dato da un fogliettino di carta, con una ‘lucetta’, sventolato da un ventilatore alla base. Hai presente vero? A ognuno il suo mestiere, ma ora devo capire come sfruttare questo ‘effettone’, in un prossimo allestimento.
Annunziato Gentiluomo

 

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