E l’onda, pria sì limpida, di sangue rosseggiò! Da tale verso della protagonista parte uno dei leitmotiv scenici di Lucia di Lammermoor per la regia di Henning Brockhaus ripresa da Valentina Escobar, che sarà in scena al Teatro Regio di Parma, il 30 marzo e l’1 aprile. Infatti, ispirandosi a questa frase contenuta nel presagio che Lucia racconta alla
E l’onda, pria sì limpida, di sangue rosseggiò! Da tale verso della protagonista parte uno dei leitmotiv scenici di Lucia di Lammermoor per la regia di Henning Brockhaus ripresa da Valentina Escobar, che sarà in scena al Teatro Regio di Parma, il 30 marzo e l’1 aprile.
Infatti, ispirandosi a questa frase contenuta nel presagio che Lucia racconta alla sua damigella, Alisa, aspettando di incontrare il suo amato Edgardo, il regista introduce l’elemento acqua, anzi più precisamente il moto ondoso caricandolo di tutto il simbolismo emozionale che Jung aveva ben chiarito e rimandante l’idea di dinamicità a cui contribuiscono più scelte registiche.
Sono tre i tipi di mare ricreati attraverso dei video, fortemente caratterizzanti, l’allestimento. Il primo è il mare rosso a rappresentare il sangue che le battaglie stavano facendo versare e a presagire la tragedia che si sarebbe consumata sia all’inizio sia quando Lucia cede all’invito di Raimondo di assecondare le disumane richieste del fratello Enrico. Il secondo è un moto ondoso rasserenante, a simboleggiare la spensieratezza adolescenziale e i primi moti emozionali della prima giovinezza e del primo grande amore, come sfondo nel’aria iniziale di Lucia. Il terzo è un mare notturno nel momento della separazione tra Lucia ed Edgardo atto a rappresentare il mistero e anche quella malinconia a cui sono costretti i due amanti per la partenza di Sir Ravenswood per il fronte. In quella scena il chiarore della luna illumina Edgardo, in linea col libretto dell’opera Alta la notte e bruna … Colpia la fonte un pallido Raggio di tetra luna …
Nelle scene, curate da Benito Leonori, domina una scalinata che impone ai pochi elementi scenici – un sofà piuttosto che uno scrittoio – una certa diagonalità che crea movimento e rende l’idea della processualità e dell’evoluzione caratteristica degli avvenimenti dell’opera. Inoltre lo stesso telone che si compone e si scompone, creando pareti di pietra, mura di mattoni rigate di sangue, location di murales di composizione espressioniste o caverne, elemento che definisce la trasformazione e il cambiamento degli eventi, la plasticità della vita.
Molto curata la regia, in perfetta sintonia con le scene, in cui si notano elementi di circolarità che rendono l’allestimento armonico. Primo fra tutti la disposizione a falange dei soldati i cui scudi diventeranno le lapidi del cimitero dei Ravenswood; la ricorsività dell’acqua; i video con le margherite bianche a rappresentare la purezza di Lucia, di cui una, a un certo punto apparirà tinta di rosso, e poi tali semplici fiori diventano “barocchi” candelabri accessi a scandire la luce dell’intelletto che si va via consumando; e il tulle che funge da secondo sipario e che viene sempre sollevato dal centro, a mezza altezza, a creare un effetto “discoprimento” di quanto gli occhi normalmente vedono, come se il regista volesse farci comprendere che quello che appare è sempre il risultato di qualcosa di retroattivo, di una strategia precedente. Molto suggestiva la presenza dell’arpa in scena, ubicata su un palchetto a destra del palco nella scena dell’ingresso di Lucia. Non defilata, ma ben in vista come elemento fondamentale della scena. La centralità della musica che poi sarà ripresa dal flauto traverso che prenderà il posto del direttore di orchestra e che duetterà con Lucia, in un suggestivo e intenso incontro.
I costumi di Patricia Toffoluti sono una miscela di stili ben armonizzati fra di loro. Ci sono degli elementi del gusto pre-raffellita; altri degli anni Venti del secondo scorso, sostenuti dalla scena in cui giovani donne giocano leggiadre a racchettoni; altri che ricordano austerità più gotiche. Inoltre il secondo atto inizia proprio con un cambio d’abito forzato in scena. Lucia è costretta a togliere le vesti celeste con cui aveva giurato amore a Edgardo e indossare un vestito bianco per prepararsi alle nozze obbligate con Arturo. Lucia rimane in sottoveste al centro del palco, a rappresentare l’atto pubblico che si prestava a fare, il suo estremo sacrificio: sottopone il suo volere e il proprio credo alla morale politica.
Il regista introduce un prigioniero incatenato, moribondo, a rappresentare quanto Enrico avrebbe desiderato far subire a Edgardo, suo atavico nemico, elemento in cui abbiamo rintracciato un richiamo al pucciniano Caravadossi. L’empia fiamma che vi strugge spegnerò, spegnerò, col sangue spegnerò! afferma Lord Asthon.
Interessante la gestione dello spazio soprattutto l’organizzazione dei soldati che si schierano, oltre che a falange, anche formando un triangolo, e riprendendo la famosa “testa di porco”. Ben costruiti il combattimento con le spade e anche il duello dei due antagonisti, assolutamente realistici.
Molto ben congegnato l’utilizzo del forziere pieno di gioielli con cui fa l’ingresso Arturo che diventa scrivania dove firmare il contratto di matrimonio ad avvalorare il sacrificio politico di Lucia.
La protagonista è cosciente del dramma che sta vivendo, del fatto che è una pedina di un disegno più grande di lui per il quale deve mettere da parte sentimenti e desideri. Infatti afferma Io son tanto sventurata, che la morte è un ben per me! e persuasa la mente… ma sordo alla ragion resiste il core.
Quando Lucia cede alle pressioni che anche Raimondo, suo confidente, le fa, alle sue spalle una coreografia accennata esprime l’idea della festa, a contrapporre la dicotomia fra il sacrificio personale e il successo politico.
Il terzo atto si apre con delle pareti ghiacciate. L’acqua che ritorna nel suo stato solido e rappresenta il moto di Edgardo, straziato dall’ira e dalla delusione: il suo cuore è ghiacciato tanto che arriva a maledire Lucia, ignaro delle follia che stava assoggettando la sua donna amata. Orrida è questa notte come il destino mio! Sì, tuona o cielo… Imperversate o turbini… le sue emozioni sono in sintonia con quanto fuori sta avvenendo. E intanto mentre è impegnato nel confronto con Enrico, si consuma il delitto. La scena si proietta al palazzo degli Ashton e ciò che colpisce immediatamente è Raimondo che indossa una giacca nera sopra l’abito rosso, a simboleggiare il lutto sulla violenza del sangue, fluido ripreso dalle mura insanguinate proiettate già all’inizio del primo atto. E nel silenzio appare Lucia, il cui abito bianco è macchiato di sangue per le pugnalate inferte al marito, che fa rotolare per le scale Arturo il cui corpo si ferma al centro della scena. Il dramma si è consumato. La follia ha completamente invaso la giovane donna macchiata da un’unica colpa: aver amato l’uomo sbagliato.
Lucia si rivolge ad Arturo come se fosse Edgardo, e poi anche a Enrico e a Raimondo pensandoli il suo Ravenswood. Ormai la lady Ashton non abita più quel corpo.
E l’allestimento si conclude col tulle che si ripiega a terra in quanto non c’è più nulla da scoprire, la verità è totalmente manifesta, ed Edgardo, una delle vittime, vi cadrà sopra esanime.
Buona la performance dell’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna diretta da Stefano Ranzani, attento a tutte le sfumature dell’anime e a tratteggiare i colori dei personaggi e le diverse atmosfere. Altrettanto ben sortito e preciso il Coro del Teatro Regio di Parma, preparato da Martino Faggiani e Fabrizio Cassi, che ha saputo sostenere egregiamente i solisti.
Passando al cast, nel complesso abbiamo apprezzato tutti gli interpreti che hanno espresso al meglio le loro qualità, rendendo onorevole la celeberrima opera donizettiana. Sicuramente ci sono dei distinguo da fare.
Buona la performance di Ekaterina Bakanova che si è misurata con la complessa partitura di Lucia. Nonostante, a volte, sia apparsa incerta nel controllo della voce in alcuni acuti, è riuscita a rendere con determinazione il ruolo del titolo, dimostrando sinuose linee di canto, plasticità ed eccellente tecnica. Molto valida scenicamente riempie la scena con energia e bellezza. Per la prima volta abbiamo goduto inoltre del duetto col flauto traverso alla fine dell’impervia aria della follia. Voce e strumento nudi, una di fronte all’altro. Un momento di grande intensità drammatica. Una prova di grande coraggio. Il soprano lirico leggero russo, nel singolare confronto musicale, ha saputo creare un’atmosfera intensa e atemporale, carica di pathos, assolutamente pertinente col dramma appena consumato. Tutto si è fermato. La platea era ipnotizzata e godeva di tanta grazia. Proprio per questo possiamo perdonarle gli attacchi non sempre precisi e le leggere imprecisioni che comunque hanno caratterizzato quegli infiniti attimi di grande liricità. Copiosi gli applausi per lei, valida interprete belcantista, da parte del pubblico parmense.
Abbiamo molto apprezzato Mario Cassi nei panni Lord Enrico Ashton. Dotato di una vocalità rotonda e potente ha reso con cura e precisione il suo personaggio incarnandone bene tutti le diverse angolature. È riuscito a colorare il suo Enrico con rabbia, paura, rabbia, determinazione, vendetta, pentimento, strategia ben seguendo le linee donizettiane.
Quasi un diesel Giuseppe Gipali che si è misurato col personaggio di Sir Edgardo di Ravenswood. Una performance la sua molto in crescendo. All’inizio, infatti, pareva che la sua voce fosse, a volte, poco proiettata, mentre nell’ultimo atto, dal duetto con Enrico, ha espresso accenti intrepidi e drammatici e un lirismo intenso, totalmente in linea con la partitura, contribuendo alla buona riuscita di un terzo atto dalla potente carica patemica.
Interessante notare fra i comprimari la vocalità piena e potente di Roberto Carli che ha interpretato in modo istrionico ed energetico il ruolo di Normanno; la sempre puntuale vocalmente, ma sicuramente non complice, Elena Traversi nei panni di Alisa; la luminosa timbrica di Matteo Desole (Lord Arturo Bucklaw). Non convince sempre vocalmente Luca Dall’Amico, a cui è mancata la rotondità soprattutto nelle profondità della partitura, facendo perdere corpo e autorevolezza al proprio personaggio (Raimondo Bidebent).
Nel complesso dunque un bello spettacolo, ben costruito e ben interpretato, frutto della collaborazione tra Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione i Teatri di Reggio Emilia e il Teatro dell’Opera Giocosa di Savona.
Annunziato Gentiluomo
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