Il 23 luglio scorso presso il Teatro al Castello di Roccella Jonica, abbiamo assistito con vivo interesse alla messa in scena di una delle opere liriche più proposte e forse più amate, La traviata di Giuseppe Verdi. Un allestimento nel complesso soddisfacente con delle punte di eccellenza che vogliamo evidenziare. La prima fra tutte una
Il 23 luglio scorso presso il Teatro al Castello di Roccella Jonica, abbiamo assistito con vivo interesse alla messa in scena di una delle opere liriche più proposte e forse più amate, La traviata di Giuseppe Verdi. Un allestimento nel complesso soddisfacente con delle punte di eccellenza che vogliamo evidenziare. La prima fra tutte una superba, per i suoi vent’anni, Carmen Valeria Cardile nei panni di Violetta. Nonostante un inizio un po’ incerto, dovuto sicuramente all’emozione del debutto del ruolo, alla tenera età e alla sua prima volta in un’opera, è stata assolutamente all’altezza di uno dei personaggi più complessi del grande repertorio operistico e del maestro di Busseto in particolare. La bella voce, il colore interessante, la buona tecnica, la convincente presenza scenica, la sua bellezza e la tempra caratteriale hanno consentito al giovanissimo soprano di rendere tutte le sfumature di Violetta Valery, raggiungendo il pubblico che l’ha sostenuta in tutti e tre gli atti.
Proseguendo la disamina degli aspetti positivi, è doveroso citare il Coro del Teatro Cilea di Reggio Calabria, che a parte un incedere attoriale piuttosto confuso proprio nell’ouverture, ha espresso forza, compattezza e precisione vocale. Accanto a loro, l’eccellente Maestro Crescenzi che ha diretto con precisione, partecipazione ed eleganza, come un nobile nocchiere una prestante nave – l’Orchestra del Teatro Cilea – che ha dato prova di maestria espressiva. Da evidenziare gli assoli di grande finezza espressiva del primo violino Pasquale Faucitano. Singolare la registrazione di una parte dell’orchestrazione che ricorda l’incedere tedesco e che offriva il senso di lontananza dalla scena.
Buona la regia che lo stesso De Carlo ha ripreso, quasi in toto, rispetto a quella proposta due anni addietro a Locri, con un’aggiunta più onirica relativa alla rappresentazione del Carnevale nell’ultimo atto. Inoltre abbiamo apprezzato un elemento sottile e intenso dal forte impatto emotivo: il velo rosso indossato durante la seconda festa ritorna nel momento della celeberrima aria Addio del passato. Il suo focus è rappresentata da Violetta sotto i riflettori di un voyerismo piccolo borghese. La donna è ben fotografata in un mix di ribalta e retroscena, parafrasando il famoso sociologo Goffman, di interno ed esterno, di prima donna, donna pubblica e di donna umana, fatta di sentimenti, emozioni e dolori. In scena accanto alla determinazione e alla stravaganza di Violetta anche la sua grande umanità. Dalla centralità di Violetta e dal suo configurarsi come bersaglio ottico di una società guardona e giustiziera scaturisce un impianto scenografico dove si impone una struttura centrale praticabile, di forma circolare, abbracciata alle spalle da pedane poste a semicerchio da cui, come da un anfiteatro, il mondo-coro segue le sorti della protagonista. Al centro campeggia un luogo che si fa di volta in volta boudoir, tavola imbandita, salottino intimo, tavolo da gioco, letto di morte ma, trasformandosi, rimane sempre lo stesso, quasi un altare su cui si celebra la via crucis della traviata. In fuga attorno alla ruota ella cercherà scampo dai suoi inseguitori/persecutori: l’Alfredo ardente di passione del primo atto, che insiste su di lei per piegarla all’amore, e l’altro Alfredo, quello reso pazzo dalla cieca gelosia, che le ansima sul collo per indurla, sempre e comunque, a cedere. Su quella struttura, rannicchiandosene al centro, cercherà riparo e difesa al gesto estremo, plateale e dissennatamente violento di Alfredo alla festa di Flora; come cercherà lì protezione all’azione del vecchio Germont, altrettanto violenta e spietata anche se sibilata e assennatamente condotta; come lì stesso consumerà la sua vicenda umana, tendendosi in uno spasmo verso il cielo, sotto l’ultimo e più potente dei riflettori. Violetta conclude la sua storia per consegnarsi alla Storia, precisa il regista. Avremmo desiderato fluidità e ordine maggiori nell’ingresso degli invitati alla festa che porgono gli omaggi alla signora Valéry e una valorizzazione dell’interprete Violetta. In alcuni momenti sembrava che il regista non volesse modificare la sua idea rendendola più calzante per la giovane cantante. È parso mancare uno sforzo di adattamento alla plasticità e alla corporeità di Carnile.
Andando al resto del cast, Giuseppe Varano, nei panni di Alfredo Germont, è venuto fuori dal secondo atto in avanti. All’inizio è parso impacciato e impreciso, manifestando difficoltà di emissione e anche di appoggio vocale. Forse il confrontarsi con la sua cittadina lo ha distratto, condizionando la prima parte della sua esecuzione. Luca Bruno non è sembrato adatto al ruolo di Giorgio Germont tanto per vocalità quanto per maturità scenica. La sua è stata una prova vocalmente soddisfacente, anche se scenicamente è risultato troppo ingessato. Invece abbiamo molto apprezzato Chiara Marino (Annina) e Annalisa Cappelleri (Flora Bervoix), capaci entrambe di rendere con finezza e precisione i loro personaggi. Belle voci e anche convincente verve scenica le loro. Vocalità luminosa, buon appoggio e brillante resa teatrale per Gianluca Marino che ha interpretato sia Gastone de Letorières sia Giuseppe. Una gran bella presenza, una soddisfacente capacità di occupare lo spazio e una buona vocalità hanno caratterizzato Tommaso Scalzi nel ruolo del Barone Douphol, da cui però ci saremmo aspettati una maggiore intensità scenica e più energia. Modesta la performance di Giovanni De Benedetto (Marchese d’Obigny e Commissario) e assolutamente fuori forma, invece, Cesare Tenuta nei panni del Dottore. Comprendiamo che la messa in scena sia il frutto di un Corso di Alto perfezionamento lirico, ma alcune defaillance sarebbero comunque da evitare
Magnifici i costumi e buone le luci che riescono a colmare il grande limite delle video-scenografie. Poco energiche e imprecise, infine, le coreografie del Corpo di ballo Centro Studio Danza, diretto da Gabriella Cutrupi.
Una bella serata nel complesso che ha emozionato una bella platea accorsa per godere dell’opera nella Locride.
Annunziato Gentiluomo
[Foto: Domenico Scali ph.]
Leave a Comment
Your email address will not be published. Required fields are marked with *